Modernità
Come immaginario di riferimento nell'elaborazione delle mie matrici ho utilizzato opere d'arte relative alla modernità. Il fatto che abbia preso riferimenti anche da Philip Johnson è perchè ho trovato dei campi di congruenza. In particolare, per il padiglione sul lago della Glass House, lui stesso afferma: "La forma del progetto - la sua grammatica - è schiettamente moderna. Mi sembra inutile imitare le forme antiche solo perchè desidero richiamarmi a una nobile tradizione storica; le forme restano moderne per sempre" (D. Whitney e J. Kipnis "Philip Johnson - La Casa di cristallo", Electa, Milano, 1996, p.24).
"Perchè architettura della modernità e non semplicemente architettura moderna? La scelta deriva da una constatazione: vi sono numerosi edifici che del linguaggio contemporaneo assimilano solo il parametro estrinseco, vecchie case con anacronistiche piante e prospetti in cui sono stati aboliti il cornicione e le decorazioni. Questa non-architettura invade i nuovi quartieri urbani con enormi alveari o con tediosi blocchetti di abitazioni, ed è più irritante di quella eclettica ottocentesca, perchè maschera le stesse funzioni con una epidermide menzognera... Questa è la lingua architettonica della modernità: i prosatori la parlano, i letterati la interpretano e manipolano, i rari poeti l’arricchiscono e la mutano" (Bruno Zevi, "Architettura della modernità", Tascabili Economici Newton, Milano, 1994, p.10).
"Certo che posso ricordare, ma non me ne pare il caso.

Ho sfrondato me stesso dagli inutili orpelli. Mi sono potato e in questa nuova essenzialità gioisco solo del futuro. Riesco a cancellare l’oggi nel rotolare delle ore e taglio, taglio, senza remissione.

Mi sento finalmente libero da inutili carichi, non voglio più, capite più, pesi addosso. Gli occhi mi si fissano innanzi e con le mani e con i piedi, senza guardare, allontano il mio presente come è di una talpa con la terra.

Né amore, né odio. Si frantumano i sentimenti si sbriciolano le passioni, perchè non è il futuro di domani che inseguo, ma quello delle distanze siderali. E’ il tempo che non potrò mai vivere.
Sciocco che sei, fermati; a che serve il tuo correre, se stai sempre fermo. Bada, che di te non rimarrà nulla di buono. Vivi con modestia il tuo tempo e se proprio hai paura d’essere uomo, impara almeno dal lupo e dalla formica. L’equilibrio tra passato, presente, futuro è il corredo, che ci portiamo addosso. Volerlo ignorare è follia oppure impostura.

Bada a te, sciocco che sei.
 
 
 

 

Capite, mi spiano, maledetti intriganti, mi spiano, cantilenando la nenia della finta saggezza. Come se tutti si dovesse essere lupi o formiche. L’economia del branco, le leggi della natura, il gruppo compatto e i giochi di potere nel gruppo. Non prendetevela, non mi interessano. Vi consegno in questo preciso istante la mia indifferenza.

Ne capisco l’inevitabilità: è così ed infatti non desidero farmi profeta nella terra di nessuno. Voglio solo viaggiare con destinazione ignota. E’ poi così un grande male uscire dal consorzio? E se tutti si decidesse contemporaneamente di prendere propri cammini e di abbandonare le ragioni della sopravvivenza, allora in quel medesimo istante non sarebbe più, e nessuno avrebbe più motivo di recriminare.

Io vado.

Non sarà il mio posto vuoto a lasciare il segno.

Mi vedo navigatore di fiumi siderali, appresa l’arte del volo, parte compiuta della materia, che mi contiene e che io contengo, indifferente ai miei confini corporei, perché sfrangio e diramo me stesso in tutte le direzioni. Non è più un affanno l’egoistica coesione.

Brani miei scivolano fuori di me, indagano, penetrano materia altra e vi si confondono e mi consumo in nuove o rinnovate coesioni.

Mi faccio totalmente periferia e scialo da gran signore le particelle, che mi fanno tale. In un attimo non mi vedo più e non sono più. In un lucido lampo mi sono annientato, ma senza alcun rituale, perché non è la fine del mio essere attuale che ricerco, bensì la condizione futura, che, da quel luccichio, prenderà le mosse.

Veloci come il vento le sostanze volatili potranno disperdersi ed io vi sarò dentro, i pesanti atomi precipiteranno nella terra e io vi sarò dentro" (Arduino Cantafora, "Quindici stanze per una casa", Einaudi, Torino, 1988, pp.108-109).

"Modernità non consiste nell’adottare quattro mobili quadrati! Consiste nel vivere con pieno interesse tutto quanto in ogni campo – e specie in quello delle arti e della cultura – è espresso dal nostro tempo" (Fulvio Irace, "Gio Ponti – La casa all’italiana", Electa, Milano, 1988, p.15).
 


"La scelta del Movimento Moderno (ed in genere di tutte le avanguardie dell’inizio del secolo) di abbattere l’accademismo di specifiche forme e decorazioni, per il raggiungimento della "qualità", si è tradotto in un tentativo di spostamento, irreversibile ed estremamente produttivo sul piano culturale, del campo del progettare dal progetto al metaprogetto (oggi si direbbe, alla luce degli approcci sperimentali attuati, dalle forme alla logica formale)" (C. Soddu, E. Colabella, " Il progetto ambientale di Morfogenesi", Progetto Leonardo, Bologna, 1992).