La cultura della luce

L’utilizzazione dell’energia elettrica, già ampiamente sperimentata nel corso dell’Ottocento, anche se con connotazioni molto diverse da quelle del nostro tempo, e la successiva straordinaria possibilità di un'agevole distribuzione in rete, grazie soprattutto a Thomas Alva Edison, sono due momenti determinanti della rivoluzione industriale.

L’entusiasmo per questa nuova realtà fu enorme e generale: grandi manifestazioni con feste luminarie pervasero le strade e le piazze di quasi tutto il mondo (quel mondo che alle soglie del XX secolo si intendeva tecnologicamente avanzato).

Parigi, Milano ed in seguito tutte le capitali europee ebbero i propri monumenti, e progressivamente i centri storici, illuminati con lampade ad incandescenza alimentate dalle prime reti urbane di distribuzione di energia.

La Scala di Milano fu il primo teatro italiano a godere dell’illuminazione elettrica ed ospitò, da1 1890, lo spettacolo musicale Il Ballo Excelsior, vera apoteosi delle possibilità aperte dall’elettricità, delle speranze affidate alla rivoluzione industriale e dei nuovi orizzonti che si aprivano all’umanità.

(Castiglioni P., Baldacci C., Biondo G., 19..... )

La tipologia degli apparecchi illuminanti non si discostò, formalmente, dai precedenti lumi a gas o a cera, in particolare nel primo trentennio del secolo, sostanzialmente legato allo sviluppo tecnologico della lampadina ad incandescenza. Costituirono un’eccezione gli apparecchi destinati a svolgere compiti e funzioni tecniche specifici.

L’Esercito e la Marina studiarono, infatti, ottiche abbastanza sofisticate per potenziare e controllare il flusso emesso dalla sorgente. I primi proiettori con caratteristiche funzionali e di buona efficienza sono frutto dello studio degli uffici tecnici militari.

(Castiglioni P., Baldacci C., Biondo G., 19..... )

La produzione destinata ad un pubblico più vasto e popolare ripropone, per anni ed anni, la forma della lanterna e del candelabro, con o senza appliques o abat-jour. La novità più rilevante consiste, forse, nell’utilizzo della lampadina nuda a sospensione con un piccolo riflettore in metallo, posizionato superiormente, con lo scopo di inviare il flusso luminoso verso il basso.

Gli apparecchi a fiamma libera (cera, gas, petroli) non potevano essere dotati, infatti, di elementi riflettori tali da controllare e proiettare il fascio di luce per cui, normalmente, venivano posizionati a tavolo, parete o sospensione senza alcun accessorio destinato al controllo del flusso luminoso dato il calore prodotto per combustione della sorgente.

Più interessante, in questi primi decenni del secolo, ci sembra d’essere la tipologia degli apparecchi destinati agli ambienti di lavoro. Uffici, laboratori, manifatture ed industrie utilizzano, infatti, apparecchi dove la cura formale viene presa in considerazione limitatamente e lo sforzo progettuale si riduce alla pura ricerca dell’efficienza luminosa e al tentativo di agevolare lo svolgimento di compiti visivi ben precisi, il contenimento dei costi di produzione e di gestione degli apparecchi stessi. Gli archetipi tipologici della maggior parte degli apparecchi a tutt’oggi in uso nascono, di fatto, in questo periodo ed hanno come destinazione proprio i luoghi di lavoro: le grandi e le piccole sospensioni, le plafoniere, le lampade da lavoro e da parete più o meno snodabili, con base o con morsetto, sono il risultato della richiesta di precisi compiti dell' illuminotecnica. L’affermazione del pensiero razionalista e la formulazione del concetto che la funzione può determinare la forma, trovano qui i fondamenti e le istanze del loro essere.

La produzione colta, rappresentata da lampade quali quelle prodotte da Tifano, Galle, Lalique, Sabino e destinata alle classi più abbienti, inserisce in forme elaboratissime e di grande suggestione (fitomorfe, zoomorfe, antropomorfe, ecc.) la neonata lampada ad incandescenza ed utilizza materiali preziosi e ricercati come l’alabastro, la madreperla, il vetro colorato, il bronzo e l’ottone, ricorrendo inoltre alle tecniche della doratura, cromatura, argentatura per impreziosirne maggiormente l’aspetto.

Si creano, così, vere e proprie opere d’arte, attualmente oggetti di culto per collezionisti raffinati, di chiara derivazione pittorica o plastica e decisamente legati al gusto dell’epoca, che contribuiscono a creare atmosfere irreali e di grande effetto emotivo e che poco sembrano associabili alla attuale concezione dell’apparecchio illuminante.

(Castiglioni P., Baldacci C., Biondo G., 19..... )

Nel settore specifico dell’oggetto-lampada, possiamo individuare almeno tre tipi di approccio al problema progettuale indipendentemente dagli affrancamenti stilistici. Al primo gruppo appartengono i costruttori ; coloro cioè che hanno impostato tutta la loro produzione, o parte di essa, sulla lampada ; come ad esempio, per il vetro, Lalique, Sabino, Argy-Rousseau, Perzel ; e per il ferro forgiato, Edgar Brandt. A un secondo raggruppamento appartengono gli stylist-designers, coloro che operando in ogni settore delle arti decorative hanno gettato le basi per un tessuto ideologico dello stile ; qui si spazia dai più legati alla tradizione, come nel caso del "classico" Ruhlmann, fino agli arredatori come Chareau. La terza strada è quella degli architetti che più hanno recepito il messaggio delle avanguardie, accomodandone il piglio rivoluzionario a più tranquilli traguardi "borghesi" ; è il caso di Mallet-Stevens, De Marle, Jourdain, che mescolano frammenti del cubismo a esperienze decorative bidimensionali, eredità delle Secessioni, con materiali nuovi e molta innegabile eleganza. Nei materiali avviene un aggiornamento da parte di tutti ; al bronzo, tanto caro all’art nouveau, si sostituiscono altri metalli, come l’alluminio e varie altre leghe, oppure l’alabastro, il marmo, la lacca, il vetro a specchio, l’opale, lo zigrino.

(Castiglioni P., Baldacci C., Biondo G., 19..... )

Il vetro è indubbiamente il materiale che più d’ogni altro si adatta alla causa della luce, anche per la proprietà che ha di non rifletterla - come avviene invece per altri solidi - ma di lasciarsi attraversare dai raggi luminosi con la medesima angolazione con la quale viene raggiunto e con la stessa inalterabilità.

Al momento dell’invenzione della lampadina elettrica l’arte del vetro contava ormai diversi secoli di tradizione, perlomeno nel campo dell’oggettistica. Conosciuta fin dall’inizio della XVIII dinastia in Egitto (1580 a.C.) la lavorazione del vetro ha avuto in Venezia, e più precisamente nell’isola di Murano, la sua capitale mondiale per diversi secoli, anche se in altre parti d’Europa l’arte vetraria trova degnissimi interpreti, e industrie artigianali erano sorte un po’ dovunque. Nel XV secolo in Boemia alcuni fabbricanti producono un nuovo tipo di prodotto, di particolarissima lucentezza, che viene appunto chiamato cristallo di Boemia, tanto che alla fine del Settecento questa regione domina il mercato mondiale. Altri centri importantissimi vengono creati in Inghilterra e in Francia, dove fiorisce, accanto a quella della porcellana, l’industria vetraria di Sèvres. Anche in Lorena, fin dalla metà del XVI secolo molti villaggi possiedono proprie vetrerie, dove la produzione, con il tempo, acquista una rinomanza che va oltre i confini nazionali. Sarà a cavallo tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nostro, comunque, con il fiorire dell’art nouveau, che pure per il vetro si raggiungeranno i vertici di una notevolissima produzione, come del resto avviene nel più ampio contesto che riguarda tutti i settori delle arti decorative. I questo panorama, la Francia occupa un posto preminente, Parigi e Nancy rappresentano i poli di maggior attrazione per tutte le arti, non di meno nella lavorazione del vetro.

(Baroni D., 19....)

Dal 1917 al 1920, Rietvel (1888-1964) progetta una serie di mobili strutturati sul principio del nodo cartesiano, formato dalla connessione di listelli quadrangolari che si articolano nello spazio fino a concludersi in oggetti funzionali. Il primo di questi mobili è la versione non dipinta di quella che più tardi diventerà una delle poltroncine più famose della storia del mobile : la Rood Blauwe (più nota nell’accezione inglese di Red and Blue). Nel 1920 per l’arredamento dello studio di un medico a Maarsen, egli ha l’occasione di disegnare una lampada, e lo fa anche questa volta in termini assai lontani da qualsiasi forma tradizionale, come se prima di allora non fossero mai esistite lampade. Così, oltre ai mobili rigorosamente neoplastici, egli introduce una lampada a sospensione che si libra nello spazio secondo una disposizione ortogonale cartesiane di ordine asimmetrico, che risulta come una specie di equazione matematica e che si ricollega al modulo del nodo strutturale adottato negli altri suoi mobili. La Hangelamp si compone di tubi di luce a incandescenza di produzione standard della Philips; i tubi si identificano con dei segmenti di linea retta, due verticali e due orizzontali, incrociati perpendicolarmente (più tardi Rietveld eliminerà una verticale, riducendo la lampada a soli tre elementi). I fili conduttori di elettricità, incanalati in tubicini trasparenti, scendono da un piano quadrato appeso al soffitto, agganciandosi a due estremi di ogni tubo. Si tratta di una lampada che non trova alcun riscontro fino a quel momento nella storia delle lampade, quanto una maggiore presa di coscienza da parte degli operatori nell’applicazione di una corretta illuminazione dell’ambiente.

(Baroni D., 19....)

Anche la funzione del paralume viene ribaltata, nell’intento di proiettare la luce sul soffitto e di diffonderla soffusamente tutt’intorno. Scrive Desny nel 1929 in "Lux" : "E’ sbagliato pensare che un locale sia ben illuminato soltanto perché abbagliato da una luce intensa. L’essenziale, al contrario, è che non ci sia un punto luminoso specifico a infastidire l’occhio". Si incominciano a mescolare varie forme di illuminazione e la luce non è più un punto indifferenziato, ma viene pilotata : diretta, semidiretta, mista, indiretta. Mentre la lampada, dunque, continua ad essere considerata come un oggetto d’arte, avanzano sempre più le tecniche di ingegneria dell’illuminazione, per la quale si formano veri e propri specialisti. L’illuminotecnica si occupa prevalentemente di ambienti pubblici, dove talvolta vengono realizzate colossali composizioni, come nel Radio City Music Hall di New York (1933), nello Strand Palace Hotel a Londra (1930), e su transatlantici come il "Normandie", "Lle de France", "L’Atlantique", "Empresso of Britain", e altri ancora.

La rivista "Lux" si fa portavoce dei progressi nel campo dell’illuminazione e promotrice della scienza fotometrica. "Toni di luce e intensità furono rivalutati. Si ebbero così angoli di riflessione e coefficienti di trasmissione di luce. Inoltre, venne presa in considerazione anche la misura delle immagini retinali, Questo nuovo interesse alla fotometria, diede luogo a un nuovo indirizzo professionale : l’ingegneria dell’illuminotecnica".

(Baroni D., 19....)

Negli ultimi decenni del secolo scorso, con l’incremento dell’industrializzazione cresce anche l’attività terziaria e impiegatizia, che soprattutto negli Statu Uniti si sviluppa vertiginosamente, fino a produrre il fenomeno dell’alta concentrazione di questo tipo di lavoro e il relativo sviluppo di una nuova tipologia architettonica ad uso commerciale, ovvero il grattacielo. L’edificio alto quando viene costruito in zone di affastellamento edilizio, come avviene nel "Loop" di Chicago o a Manhattan, produce molteplici problemi di tipo spaziale, di aria e di luce, di cui uno dei più contingenti è quello dell’illuminazione interna. L’organizzazione del posto di lavoro si prospetta come un fatto nuovo, e alle teorie del taylorismo si cominciano a contrapporre gli studi di ergonomia e le leggi della moderna fisiologia.

La lampada da lavoro nella produzione di serie, e in modo più specifico da scrivania, non nasce per merito di qualcuno dei grandi protagonisti della storia del design, anche se in loro vanno ricercate le premesse del funzionalismo tecnologico.

La lampada da lavoro intesa come strumento o accessorio tecnico, decisamente svincolata dall’idea di "objet d’art", trova invece la sua naturale collocazione nel filone del mobile dell’ingegnere, del mobile brevettato e, per molti versi, del design anonimo.

(Baroni D., 19....)

Naturalmente, la lampada tecnica da lavoro non può ritenersi un fatto preclusivo americano e tantomemo dei soli anni Trenta. Ritroviamo esempi significativi un po’ ovunque, in Inghilterra, dove la logica funzionalità è di antica tradizione; in Germania, dove l’estetica industriale è un fatto acquisito fin dal primo decennio del secolo, e persino in Francia, patria di una proverbiale tradizione artistica.

Ed è proprio nel nord d’Europa che viene formulata nel giro di qualche anno una soluzione tipologica rivoluzionaria, che più tardi entrerà nei mercati di tutto il mondo come un oggetto tecnico comune, ma prodotto in milioni di esemplari. Negli anni del secondo dopoguerra, dalla Norvegia viene diffusa una lampada snodata a morsetto di produzione nazionale, dalla paternità allora incerta, comunque frutto del genio di un operatore tecnico che si può considerare come la lampada funzionale per eccellenza paragonabile nell’invenzione, alla sedia Thonet; cioè fuori dal noto modello Luxo. A questa lampada non erano però mancati precursori, anche se hanno conosciuto decisamente minor fortuna. Una lampada da tavolo con braccio snodabile, bilancieri e contrappesi, considerata per molti anni di disegno anonimo, dopo varie ricerche, è stata attribuita al francese Edouard-Wilfrid Buquet, e risulta registrata al dipartimento del Commercio e Industria di Parigi con un brevetto dell’11 luglio 1927. Si tratta di un capolavoro di equilibrio e funzionalità. Un’altra di queste lampade snodabili, di fabbricazione inglese, per la prima volta della storia della lampada con un movimento autoequilibrante per mezzo di molle, denominata The Anglepoise, viene prodotta da Herbert Terry & Sons dal 1934 in poi. Il disegno originale risulta di George Carwardine (1887-1948), che l’aveva denominata Equipoise lamp e che, dopo lacune modifiche, ottiene il brevetto inglese il 10 febbraio 1934.

Jac Jacobsen, di Oslo, viene a conoscenza di questa lampada presso la Tetty Corporation e ne acquista i diritti per la sola Scandinavia.

(Baroni D., 19....)

 

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