BREVE STORIA DEL Q.T.8 di Piero Bottoni
Il QT8, che per l’autorevole voce dell’arch. Luigi
Picinato è stato definito nel 1955: “la più interessante
esperienza urbanistica attuale” trae origine dagli studi del CIAM e ne
è la precisa conclusione, con aspetti di notevole progresso se ci
si riferisce alle situazioni di fatto e reali della urbanistica italiana
nel momento in cui il quartiere fu pensato e creato.
Il QT8 fu pensato, all’origine, come un grande
laboratorio sperimentale dell’edilizia e come fatto reale legato a certi
aspetti di una edificazione che nella primissima origine, non era stata
formulata in termini urbanistici in quanto sembrava essere questo un fatto
secondario rispetto all’importanza del problema edilizio architettonico
che urgeva.
Fu alla fine dell’anno 1933 e cioè alla
chiusura della V Triennale di Milano (che aveva visto affermato in modo
ormai travolgente quel movimento per l’architettura razionale che si era
iniziato nell’anno 1927) che Giuseppe Pagano ed io ci trovammo concordi
nel riconoscere l’errore gravissimo che le sperimentazioni faticosamente
e costosamente realizzate nell’ambito del parco della Triennale di Milano
andassero in quei giorni distrutte.
Fu in quell’incontro che decidemmo di promuovere
l’iniziativa per un quartiere stabile al di fuori del Parco di Milano,
quartiere dove le sperimentazioni della Triennale potessero trovare una
sede adatta, facile ad essere esaminata, veduta, controllata, criticata
e specialmente passibile di essere riferita come fatto sperimentale non
solo alle caratteristiche di durata dei materiali e della loro convenienza
strutturale od economica, ma anche alla verifica delle qualità insediative
e abitative rispondenti nel tempo alle esigenze dell’uomo. Quindi la necessità
di un quartiere permanente.
La scelta cadde sopra un territorio della periferia
nord-ovest allora completamente disabitato e abbandonato da qualsiasi iniziativa
di carattere edificatorio che stava lungo l’asse dell’Olona.
Gli avvenimenti del tempo, la guerra di Abissinia
ed altri fatti impedirono l’attuazione di quel programma che seppure assai
embrionale, già si era espresso in forme di planimetria. La proposta,
per i suoi riflessi edilizi e culturali, aveva posto comunque il principio
di un’idea di notevole importanza.
Nel dopoguerra, per alcune fortunate occasioni
che si concretarono nella possibilità che io ebbi di dirigere la
Triennale di Milano, posi come tematica legata a quella realtà che
si era voluta affermare nel programma dell’ottava Triennale, il problema
della casa, il solo problema della casa, come tema unico dell’Esposizione.
Dall’antico progetto iniziale, che fu lungamente
discusso fra i collaboratori, sorse una prima idea schematica dell’opera
nel 1947 in occasione della Triennale stessa.
Il QT8 doveva essere il primo dei quartieri satelliti
sui quali il P.R.G. fondava l’espansione della città: un quartiere
residenziale concepito come parte integrante del piano di ricostruzione,
sufficientemente dotato di servizi e legato alle più importanti
direttrici urbane.
La concezione del quartiere cosiddetto autosufficiente,
concezione che traeva origine, nella storia, da quel complesso di ricerche
metodologiche che si affermarono all’epoca delle cosiddette città
giardino, praticamente si legava ad una autosufficienza utopica, senza
in realtà verificarsi come questa autosufficienza potesse veramente
realizzarsi si da potersi considerare assoluta.
Alcune importanti conquiste, però, nel
campo urbanistico si affermarono nell’impostazione del nuovo quartiere.
Innanzi tutto la netta distinzione tra strade
di transito veloce e strade di transito rallentato o locale, strade queste
ultime configurate essenzialmente come strade di penetrazione da una periferia
su quattro diverse provenienze verso un centro di quartiere in modo particolarmente
definito.
In secondo luogo ci si preoccupava di una distribuzione
di proporzionali servizi per ogni settore di quartiere. A questo proposito
si ricordi che le due strade afferenti al centro erano disposte ortogonalmente
quasi a delineare un cardo e un decumano. Si formavano così esattamente
nel quartiere quattro settori pressappoco equilibrati come quantità
di popolazione e dotati ognuno di un nucleo di servizi primari.
Tutto questo dava una caratteristica di equilibrata
distribuzione di infrastrutture in rapporto alla entità della residenza
(circa 5000 abitanti per settore considerato). Questa indicazione relativa
ai tracciati stradali si accentuava e precisava nella disposizione delle
strade volte a raggiungere il centro del quartiere nel quale era previsto
un insieme di edifici ad uso collettivo quali una chiesa, un cinema, un
ufficio postale, caffè e ristoranti ad uso dell’intero quartiere.
Nel progetto finale, che fu dal sottoscritto
redatto a modifica del progetto di base, fu affrontata una rigida gerarchia
delle strade che differenziava, ancor maggiormente e secondo uno schema
assoluto, le strade locali a fondo cieco con percorsi pedonali di accesso
alle abitazioni, dalle strade di penetrazione (che partivano dalla periferia
verso il centro).
Il QT8, se non fosse stato sperimentale anche
in termini di architettura, già avrebbe portato un contributo dialettico
alla prassi formativa di quartieri cosiddetti autosufficienti oltre al
fondamentale principio della differenziazione dei percorsi viari, principio
che vi fu integralmente conservato e che costituisce ancora oggi un’importante
base di confronto, di esame, di verifica sull’utilità delle proposte
fatte. Pertanto, pur con certe sue carenze di carattere realizzativo, rimane
certamente un fortissimo passo avanti nell’organizzazione delle reti stradali
interne ai quartieri residenziali.
E ancora, nel QT8, si affermavano alcuni concetti
che solo molto più tardi vennero assunti come elemento importante
nella pianificazione di quartieri residenziali nell’ambito di un’area metropolitana
e cioè quello di essere il quartiere polo di interesse cittadino
e non solo locale, grazie al grande parco progettato e sorto su un’area
di circa 300 mila mq, su una area cioè superiore a quella occupata
dal parco Sempione di Milano che rappresentava, nella città, uno
dei solo due esistenti spazi verdi a disposizione dell’intera città.
Interessante era anche la presenza di un piccolo lago lungo il percorso
dell’Olona.
La sperimentazione di carattere edilizio che
fu proposta per il QT8, era bensì una sperimentazione legata alle
morfologie edilizie, però aveva riflessi di carattere urbanistico
che ritengo possano ancora oggi rappresentare elementi di considerazione
e ripensamento se riferite ad altre realizzazioni fatte molto più
tardi nel campo dell’edilizia residenziale sovvenzionata.
Purtroppo, per una imposta necessità di
maggiore sfruttamento delle aree, viene sviluppata con costruzione intensiva
la parte nord del quartiere. Analogamente nella zona a sud-ovest case di
4 piani sostituiscono casette isolate a 2 piani. La collina viene ampliata
e ridotto il parco a nord. Le case alte all’estremità sud-est del
QT8 da tre divengono quattro.
Il secondo piano approvato nel 1953 segna l’inserimento
di certi problemi del quartiere nei più vasti problemi urbanistici
della città. Si notino in particolare l’attrezzatura della nuova
strada nella zona nord a piste differenziate e raccordate particolarmente
studiate dagli ingegneri dell’Ufficio tecnico del Comune per il traffico
di accesso alla città. La collina artificiale, che veniva incontro
alla necessità di accumulare le macerie dei bombardamenti e sulla
quale era prevista la costruzione di case isolate a 1 o 2 piani collocate
sulle “terrazze”, diviene parte di un grande parco cittadino e una
complessa rete di strade panoramiche locali la valorizza e la rende utilizzabile
per fini residenziali e sportivi. Le sue propaggini giungono e penetrano
nel centro dove la chiesa e annessi con pianta libera trovano nuova articolata
sistemazione sulla piazza principale. Verso il lato nord il quartiere confina
con altre zone verdi comunali terminando con una edilizia a pianta libera
costituita da case stellari su 7 piani.
Essenzialmente, l’aver scelto la possibilità
di sperimentare edificazioni a 1 o 2 piani in piccoli edifici isolati a
schiera e la realizzazione successiva di edifici a 4 piani, è tale
da consentire la non presenza di ascensori e, infine, la realizzazione
di edifici di 10-11 piani è tale da sperimentare e risolvere i problemi
di una soluzione edilizia economica legata a questo numero di piani e alla
prassi normale dell’edilizia in cemento armato.
Tutto questo tipo di sperimentazione, aveva però
un riflesso di carattere urbanistico in quanto proponeva, fra l’altro,
il tema dell’orientamento degli insediamenti residenziali e in secondo
luogo il problema della formazione di certi ambienti determinanti l’aspetto
urbano dei nuovi quartieri.
Ho parlato di differenziazione di traffici e
caratterizzazione di morfologia edilizia come esperienza positiva del QT8;
ho parlato di distribuzione del verde anche come polo di interesse cittadino
come caratteristica positiva del QT8 e ho parlato come di fatto negativo
della sottrazione assoluta di possibilità di penetrazione del traffico
nell’ambito della zona più viva del quartiere che dovrebbe essere
quella corrispondente al suo centro civico.
In realtà a QT8 manca ancor oggi un centro
civico e, in quanto esso centro sia domani realizzato, sopravviverà
comunque una condizione particolare di alienazione di interessi di parte
del quartiere verso questo centro civico, poiché le periferie del
quartiere sono, se non altro pedonalmente, a contatto di altri centri civici
che sono al di là dei confini del quartiere stesso. Ma è
pur vero che nell’ultima III soluzione planimetrica del QT8, e definitiva,
si sono volontariamente obbligate le correnti di flusso a percorrere i
viali interni fondamentali del cardo e del decumano del quartiere, proprio
per correggere l’aspetto d’isolamento che il centro avrebbe avuto, per
questa mancanza di linfa vitale determinata dal traffico di una strada
scorrente.
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