Capitolo 2: L'occasione del progetto



Premessa: l'ironia della sorte, il perché di un oggetto-cucina.

Devo essere sincero, la scelta dell'oggetto-cucina, come occasione di progetto della tesi, è stata una sorpresa, prima di tutto, proprio per me. Il desiderio di affrontare una progettazione nasce, spesso, proprio dal ricordo o da una esperienza precedente, che stimola la ricerca di nuove proposte, nuove ipotesi e occasioni da approfondire; quante volte, infatti, con tono critico giudichiamo un progetto, un oggetto, un particolare, pensando, dentro di noi, come lo vorremmo in realtà, quali sue parti funzionano, e quali meno, il perché di certe scelte e certe proposte. E' comunque un giudizio personale, e quindi tendenzioso e mirato, ma è al tempo stesso, un possibile stimolo, una occasione per immaginare, volersi misurare, proporre una diversa soluzione, approfondire certe scelte e certi temi; e ironia della sorte, proprio da una esperienza personale nasce l'idea dell'elemento cucina come occasione di progetto. Non che sia un grande esperto di culinaria, però spesso mi capita di prepararmi il pranzo, e quindi, di utilizzare tutti gli accessori del caso, dal forno, al piano cottura, al lavandino e il frigorifero; in sintesi ho elencato i principali elementi che aiutano una persona qualsiasi, rendendola indipendente e attrezzandola, a gustarsi uno splendido pasto. Potrebbe, in parte, essere vero, ma se scendessimo nel particolare, bisognerebbe dire che le sole attrezzature non bastano per assicurarsi lo "splendido pasto", infatti l'arte del saper cucinare, non è accessibile a tutti, me compreso. Bene, rimane comunque il piacere di avere una bella cucina, aerata, grande e spaziosa; anche su questo punto mi permetto di obiettare, il mio caso, non è il caso della cucina "grande e spaziosa", ma verosimilmente della cucina normale, forse anche piccolina e comunque comune a quelle di molti miei amici. Allora vorrà dire che sarà la perfezione degli elettrodomestici la causa della felicità in cucina; aumentano i dubbi, se faccio una panoramica della mia cucina, mi sembra di vedere il cimitero dei piccoli elettrodomestici, sparsi sul piano (ex) per la preparazione del pranzo, molti non funzionanti, altri dall'aria strana, quasi preoccupante, altri ancora sui ripiani, abbandonati, come pezzi da museo, dalla troppa velocità con la quale si comprano e con la quale ci si dimentica, anche perché promettono tanto e mantengono poco. Sarà allora l'organizzazione il punto forte? Eccoci al momento della verità; chi come me, ogni tanto cucina, ha mai provato a farlo con qualcuno vicino? Più che collaborazione si tratta di una lezione sulla gentilezza, "scusa devo passare", "per piacere mi passi il mestolo?", "attenzione a non venirmi addosso, l'acqua è caldissima", oppure " per piacere hai un fiammifero?, l'accendigas non funziona", " dove posso appoggiare questa pentola?". In realtà esistono anche scenette divertenti, quale quella di farsi tre metri per raggiungere il lavandino con la pentola della pasta che sembra un vulcano in eruzione, e la paura di ustionare qualche sventurato familiare; o aprire lo sportello del forno, venendo investiti da una nube tossica (se si cucina come me) che dal basso verso l'alto, con una temperatura di 300°C, ti avvolge il viso facendotelo scomparire, per riapparire, qualche secondo più tardi, di colore rosso fuoco. E' da queste considerazioni, seppur volutamente eccessive e ironiche, che nasce il desiderio, la sfida verso una diversa progettazione dello spazio-cucina, delle sue possibilità, e soprattutto, verso una possibile rilettura del rapporto utente-elettrodomestico, di un possibile ampliamento del contatto fisico, mirante non più a gesti unidirezionali, a situazioni statiche, ma alla libera utilizzazione, al libero movimento. L'esperienza personale, è stata in questo caso, il motore principale che mi ha spinto verso questo tema, e quello che vorrei proporre in questa occasione di progetto, non è uno studio mirante alla tecnologia degli elettrodomestici, alle possibili fonti di energia alternative, o la ricerca e la scoperta di nuovi materiali da utilizzare, tutte proposte di alto livello e di future ricerche, ma più "semplicemente" ampliare i possibili codici di lettura che ho appena descritto, cercando, con il pretesto di dare una risposta ai miei dubbi, di rispondere a quelli di altri ancora, di arrivare ad una qualità che permetta al mio progetto di essere vissuto da altre persone con potenzialità diverse, creando nuovi stimoli e nuove occasioni per continuare e migliorare.

Lettura soggettiva dell'evoluzione dell'elettrodomestico e dello spazio-cucina

Un po' di storia: 1880-1940
Il primo esemplare di un'elettrodomestico, fu presentato nel 1883 all'Esposizione di elettrotecnica di Vienna, ed esso consisteva in una pentola di vetro in cui l'acqua veniva fatta bollire con una spirale di platino riscaldata; nello stesso anno si costruirono bollitori, stufe elettriche, ferri da stiro, e da quel momento lo sviluppo e lo studio degli elettrodomestici ha percorso tanta e tale strada che ancora oggi è pienamente in atto, pronta a produrre modelli sempre più sofisticati ed elaborati. Da quel fatidico anno le nostre case cominciarono, dapprima con cauto ottimismo, a presentare un numero sempre maggiore di strani apparecchi, fino ad arrivare spesso nella saturazione di tutti gli spazi domestici. Le principali operazioni casalinghe nei primi anni '20, erano già state alleviate dall'introduzione dei "manodomestici, piccole invenzioni per la vita quotidiana."(1) Numerosissimi sono stati infatti i congegni che, imitando i movimenti della mano e trasformando l'andirivieni in movimenti rotatori continui, sono stati messi a punto (o perfezionati, avendo origini più remote nella seconda metà del XIX secolo) utilizzando i progressi nel campo della meccanica di precisione (sono quegli stessi manodomestici che via via, nel tempo a venire, si gioveranno dell'automazione, dell'elettrotecnica e infine dell'elettronica.) Per lo più sconosciuti i nomi degli inventori, anche perché, curiosamente ma significativamente, più persone in luoghi diversi si impegnavano nella stessa direzione.

Prima dell'avvento dell'energia elettrica, piccole macchine per pelare le patate come altri apparecchi dalle più strane funzioni quali la pulitura dei coltelli e delle forchette, la spennatura dei volatili, i tritacarne ( comunque, tutte invenzioni americane che in Europa ebbero scarsissimo successo) saranno manovrati a mano; finché non verrà loro applicato un piccolo motore elettrico, una forza "motrice" che nel processo della meccanizzazione della casa come sottolinea Siegfried Giedion, " ha avuto la stessa importanza dell'invenzione della ruota nel trasporto." Anche prima dell'avvento dell'energia elettrica dunque, gli apparecchi per la cucina erano già in produzione, anche se spesso, erano talmente complicati e indecifrabili, che l'utilizzatore (quanto oggi), se ne serviva con forte pregiudizio, rimanendo perplesso di fronte allo strano strumento. Lo sviluppo degli elettrodomestici non può certo trascendere dal suo spazio-contenitore che è ovviamente la cucina; questo soprattutto perché da sempre gli apparecchi per le cucine sono stati disegnati e progettati per una vivibilità domestica, e di conseguenza le loro misure si sono imposte nel corso degli anni modificando la stessa progettazione del locale-cucina. Ma per non soffermarmi solo su questo punto, ho ricercato anche possibili organizzazioni della cucina, studi mirati al rapporto tra l'utente e l'elemento cucina, anche prendendo in considerazione studi che, in parte, sono in conflitto con la definizione dei miei obiettivi, ma che per certe considerazioni soggettive, ho ritenuto importanti. Risulta interessante a questo proposito la lettura di uno dei principi fondamentali della teoria di Frederick W. Taylor, il famoso economista americano che alla fine del XIX secolo studiò un sistema per la "gestione scientifica del lavoro", determinanti per tutta l'organizzazione aziendale moderna, ebbero riflessi non meno importanti sul versante dell'azienda familiare. I compiti dell'organizzazione tayloristica applicati all'economia domestica si possono dividere, come quelli riguardanti le altre aziende, in tre campi diversi: il più interessante, mi è parso quello sull'ambiente di lavoro, ovvero la realizzazione di una abitazione adeguata al principio del risparmio di tempo e di energia, che renda meno pesante la fatica del lavoro giornaliero; "Quanti passi inutili fa la massaia per correre da una camera all'altra, da un punto all'altro della cucina; quanti movimenti inutili per alzarsi ed abbassarsi per mettere i panni nella tinozza, per spazzare, per lavare i piatti; quanti sforzi inutili per tenere fermo un oggetto che potrebbe essere fissato a un tavolo! ".(2) Si sviluppa, negli anni fino al 1930, una serie di tematiche riguardanti proprio lo spreco di tempo, di energia, cercando di dare una risposta scientifica a queste domande; le innumerevoli proposte di questi anni hanno infatti, in comune, uno studio approfondito sui percorsi, i movimenti che vengono ripetuti all'eccesso.

Il bisogno di facilitare il compito domestico attraverso un'analisi dettagliata delle varie operazioni e di quantificare in modo matematico secondo i principi del taylorismo i movimenti, i percorsi e i tempi indispensabili per compierle viene esemplificato negli Stati Uniti, nel 1913, in un libro fondamentale di Cristine Frederick.2 I metodi dello scientific management, nasce per far scomparire dalle famiglie americane la presenza del personale di servizio, essendo inconciliabile questa istituzione di "influenza feudale" in uno stato democratico dopo la Dichiarazione di Indipendenza, trova nella divulgazione dell'opera della Frederick enorme eco e successo, fino a varcare l'oceano diffondendosi negli anni Venti in Europa assieme alla "moderna gestione aziendale" impostata dalle industrie statunitensi. E' importante notare come già in quegli anni, più che sul superfluo acquisto di apparecchiature costose, si poneva l'attenzione sull'organizzazione del lavoro domestico. Come infatti sosteneva Erna Meyer " E' più importante il problema del miglioramento dei metodi di lavoro attraverso un controllo organizzativo"3. Immediato l'insorgere del problema della razionalizzazione dei servizi all'interno dell'alloggio minimo; si moltiplicano gli studi sulle abitazioni operaie, della cucina minima, portati improvvisamente alla ribalta dalla nuova situazione sociale dei ceti lavorativi, e dall'avvento delle nuove tecnologie relative alla fornitura di elettricità, gas e acqua corrente. In questa chiave di lettura, ritengo che l'organizzazione del lavoro in cucina, se da un lato ha migliorato la struttura organizzativa della stabilità formale, del risparmio "fisico", dall'altro, ha però contribuito a "bloccarne" la crescita e i possibili sviluppi su piani o livelli differenti, inserendoli infatti in un primo contesto di standardizzazione, allineamento e regolarità, che è rimasto pressoché invariato negli anni. Nel 1923, compare , in un progetto della Bauhaus, per la casa modello "Haus am Horn" a Weimar, per la prima volta la medesima altezza per superfici di lavoro e apparecchi ed un piano continuo al posto del tavolo; questo progetto, che anticipa fondamentali esperienze, non verrà però, in seguito, sviluppato, ma pone l'attenzione verso un "ordine" generale del sistema-cucina, alla organizzazione del lavoro, del risparmio dei movimenti inutili.
Nel 1926, Grete Schutte Lihotzky progetta la "Cucina di Francoforte", modello razionalizzato per abitazioni operaie adottato dalla municipalità della città di Francoforte, e su di esso, nel futuro si accentrerà quasi esclusivamente la trattatistica di settore, spesso dimenticando altri ed interessanti esempi. "In realtà, la cucina di Francoforte accentua l'isolamento della donna all'interno della casa, minimizzando uno schema a spazi chiusi che era in realtà nato, in pieno Ottocento, per case dotate di personale di servizio".4 Entro gli anni '30, comunque, compaiono tutti gli elettrodomestici oggi in uso, e gradualmente, vanno discostandosi dal procedimento "umano" che avevano copiato, assumendo fisionomie autonome: sarà però la loro produzione in serie e l'intervento dell' industrial design che ne alleggerirà e illeggiadrirà le linee e i "pesi", intervenendo per renderli più gradevoli, anche sui colori. In quegli anni, è comunque già riscontrabile una certa lettura ironica verso questo improvviso campo della razionalizzazione degli spazi domestici, e in particolare della cucina, che diventa improvvisamente una sorta di "laboratorio", e proponendo soluzioni che se da un lato possono considerarsi sicuramente il risultato di teorie e studi applicati, dall'altro creano un paradosso, un eccessivo controllo che porterà la cucina verso quella standardizzazione che in questa lettura soggettiva, viene considerata come critica e occasione di progetto.
Compare comunque come soggetto di maggiore importanza "l'apparenza della forma" rispetto alla sostanza; negli anni '30 infatti i compiti che venivano affidati all'industrial design erano quelli di risolvere problemi immediati: i suoi interventi, soprattutto di ridisegno più che di messa a punto di nuove tecnologie, sempre comunque all'insegna dello slogan "L'apparenza ha una sua importanza" , portarono le vendite degli elettrodomestici ad un boom paragonabile solo a quello che si verificherà trenta anni più tardi, tra il 1960 e il 1970. Rimane chiaro tuttavia come sia ancora fortemente distanziata la frattura tra innovazione tecnologica-formale in non-progressione, rispetto alla crescita dell'oggetto di design esclusivamente letta come modello commerciale. In Italia, il tema dello "spazio-cucina", non è sentito così fortemente come in America o Germania, l'elevato costo di molti elettrodomestici, ma più ancora una diversa struttura sociale della famiglia e del consumo, rallentano i campi di sviluppo e le possibili tematiche di progetto; non mancano, comunque, proposte interessanti. Una di queste viene elaborata dal Gruppo 7, composto da Figini, Pollini, Frette e Libera, ai quali si affianca un giovanissimo Bottoni; l'occasione è la IV Esposizione delle Arti Decorative e Industriali del 1930 allestita a Monza. Il progetto che il Gruppo 7 presenta, sponsorizzato dalla Edison, è la famosa Casa Elettrica, definita architettonicamente la più moderna espressione della casa e quanto di più moderno si sia fatto nel campo della tecnica degli apparecchi e impianti elettrodomestici". Si sottolinea, in questo progetto, "come l'apparecchiatura elettrica è così profondamente collegata all'organizzazione della preparazione e cottura dei cibi, del loro passaggio al salotto, della lavatura dei piatti, che è necessario descrivere la cucina e l'acquaio acciochè si veda come la posizione stessa degli apparecchi in questa parte della casa conti quanto la loro esistenza."6 Si dota la cucina di mobili specializzati e di apparecchi destinati a specifiche funzioni; gli acquisti vanno riposti allora a seconda dei diversi generi ( in cassetti-serbatoi metallici, in cassetti a ribalta inseriti nel tavolo da lavoro o appoggiati sui suoi piani laterali mobili, nel refrigerante elettrico), mentre gli scarti gettati in un contenitore-cassetto metallico a ribalta facilmente staccabile e pulibile. La Casa Elettrica pone, in sostanza, l'accento sull'organizzazione e sulle diverse richieste alimentari, sulla loro diversa disposizione a seconda del tipo e del loro utilizzo; la differenziazione è dunque occasione di progetto, dove si precisa che anche il "sistemare" non è lasciato al caso (ma diviso per i diversi generi), dove i materiali utilizzati rispondono comunque al loro utilizzo.