TRE TESTI SIGNIFICATIVI
 
 
 

Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani
Scritto nel 1824 e pubblicato postumo nel 1906.

"...Gl'italiani non hanno costumi: essi hanno delle usanze. Così tutti i popoli civili che non sono delle nazioni..."
"...L'Italia è, in ordine alla morale, più sprovveduta di fondamenti che forse alcun'altra nazione europea e civile..."
"...Ora il passeggio, gli spettacoli e le Chiese sono le principali occasioni di società che hanno gl'italiani, e in essi consiste, si può dir, tutta la loro società. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno..."
"...Poche usanze e abitudini hanno che si possano dir nazionali, ma queste poche, e l'altre che si possono e debbono dir provinciali e municipali, sono seguite piuttosto per sola assuefazione che per ispirito alcuno o nazionale o provinciale..."
Così per gli italiani "...la disposizione (...) più ragionevole è quella di un pieno e continuo cinismo d'animo, di pensiero, di carattere, di costumi, d'opinione, di parole e di azioni...""...Non avendovi buon tuono (buon senso e buone maniere), non possono avervi convenienze di società. Mancando queste, e mancando la società stessa, non può avervi gran cura del proprio onore, o l'idea dell'onore è vaga e niente stringente. Ciascun italiano è presso a poco ugualmente onorato e disonorato..."
 
 
 

L'infinito
Composto nel 1819 e pubblicato nel 1824 a Bologna.

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
 
 
 

Zibaldone (VII, 229-30, 42-83)
Contiene il concetto del famoso Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere, scritto nel 1832.

"…nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiam provato più male che bene; e se noi ci contentiamo ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è che per l'ignoranza del futuro, e per una illusione della speranza, senza la quale illusione o ignoranza non vorremmo più vivere, come noi non vorremmo più vivere nel modo che siam vissuti."
 
 
 
 
 
 


Il luogo
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Leopardi