Progettare è stato per noi arrivare alla realizzazione di un modello tracciando
sull'esistente uno scenario di sviluppo possibile, dando forma ai nostri pensieri
e desideri1, con un processo che consente di dare un criterio
scientifico al nostro progettare. Anche se nel nostro caso "l'esistente"
non rappresenta esattamente una persistenza tangibile, i riferimenti letterari
hanno svolto la stessa funzione. Questo percorso di ricerca e sperimentazione è passato attraverso la definizione dei termini e delle logiche, delle fasi, degli obiettivi del progetto stesso, per produrre una procedura scientifica, e quindi falsificabile2, in cui i legami in atto e le operazioni deduttive tra richieste e forme, seguono necessariamente il progetto3. Si tratta, di fatto, di uscire da un quadro, quello del progetto "tradizionale"4, cercando di aprirsi verso una concezione meno restrittiva. Lo scarto, ovvero il mutamento paradigmatico, consiste nella riconosciuta, inevitabile e addirittura desiderabile, soggetività iniziale del progetto, nel metaprogetto che diviene progetto di specie. Il progetto è segno, gesto, traccia, anche schizzo sul foglio bianco, ed è processo, evoluzione, schema, oggettivazione dell'idea originaria. Per riuscire ad anticipare le richieste inespresse ed i mutamenti di contesto, il progetto viene costruito come progetto di una morfogenesi, delle evoluzioni possibili della forma e dei rapporti simbolici ad essa attribuiti. Il problema rilevante è ancora il dominio della complessità e della casualità nell'ambito del progetto. La ricerca morfogenetica introduce come strumento di controllo l'oralità secondaria dell'informatica5, le sue ridondanze ed assonanze, le sue procedure codice-software a cicli e loops6, e questa logica apporta un tipo di verifica sconosciuta al progetto tradizionale: un tempo del progetto che traccia il carattere di infinite e possibili storie parallele7. Come nota C. Soddu, il linguaggio a cui siamo abituati tende costantemente a riproporre il segno di uguaglianza8. L'approccio che definiamo tradizionale è sostanzialmente tanto più preciso quanto più vi è corrispondenza tra la parola che descrive e il fenomeno che viene descritto. Quello che ne discende è un ovvio stato di equilibrio, ed è un linguaggio che rende difficoltoso cogliere quei processi di variazione qualitativa che vengono identificati come processi di morfogenesi trasformativi. Lo studio si fa simulazione di un ordine dinamico che cresce e si alimenta nel disequilibrio, caotico ed imprevedibile ma identificabile nel suo slittare verso la complessità, nel quale il cambiamento principale si evidenzia propriamente nella lingua parlata del progetto e nella sua logica strutturante. Il problema principale è quindi di tipo operativo: non è pensabile di rispondere a domande non formulate e non presenti all'inizio dell'iter progetuale considerandole implicite od individuabili nello stato di fatto, come se questo fosse un momento di pura analisi svincolato da ogni limitazione contingente e non già un passo nel farsi del processo. Progettando un edificio è difficile dedurne univocamente le forme o le logiche aggregative dalle funzioni che vengono richieste o che l'organismo dovrà soddisfare; innanzitutto per la complessità del leggere l'ambiente circostante, ed in secondo luogo perché l'attribuzione di forme e l'utilizzo di determinati codici visivi dipende strettamente dalla soggettività del singolo, ed è culturale, emozionale, onirica. Il nostro stesso fare diviene motore del processo, innescando ulteriori richieste e formalizzazioni delle quali dobbiamo divenire coscienti per poterle guidare. E tutto questo, richieste in primo o in secondo ciclo, è solo una parte di ciò che l'architettura realizzata dovrà soddisfare al cambiare del contesto: l'ambiente di riferimento evolve la sua immagine e la sua identità, l'utilizzazione e l'utilizzatore, l'intero contesto culturale, storico e funzional si evolvono secondo linee non prevedibili ed inattese. L'instabilità è l'anima del processo9. Il reale va affrontato con strumenti che lavorino direttamente sulla trasformazione stessa, con procedure di sviluppo, ovvero con algoritmi 10 che consentano di definire un mutamento e un ambito temporale in cui questo avviene. Il progetto è progetto della dinamica evolutiva dell'idea formale, attuato con sistemi a sviluppo non prevedibile che simulano una specifica logica progettuale, in cui il tempo è in diretta relazione con la crescita/modifica dell'evento, ed in cui ciò che determina la qualità ed il tipo di rapporto sono gli algoritmi evolutivi. Una volta individuate, questa possibilità di operare ed il tipo di controllo che esse consentono sulla complessità del progetto, divengono necessarie. In modo non dissimile da quanto avviene nel campo di discipline quali la fisica e la chimica, si opera nell'ambito dell'architettura lo studio morfogenetico dei processi naturali ed artificiali. Il cambio di prospettiva è ampio: studiando la dinamica evolutiva stessa dell'idea formale mediante sistemi a sviluppo non prevedibile ci si porta idealmente nel divenire stesso del progetto. All'oggetto di progetto viene concesso di oscillare, mutare, avanzare, muovere lungo i momenti di una specifica idea progettante, che è il solo motore di sistema, assumendo tutte le forme possibili che quell'ambiente, edificio, oggetto di design, riesce a mutuare conservando identità compositiva, strutturale e funzionale; quegli elementi che Soddu definisce, con un richiamo ad Habermas, post-metafisici11. |
Il progetto di morfogenesi è quindi una logica strutturante, controllo delle
trasformazioni possibili della forma12, che produce individui
simili ma non identici. Sapremo distinguere un pino ed un ulivo con certezza, così come, con maggiore attenzione, saremmo in grado di valutare che il pino A differisce dal pino B; è più alto, più vecchio, più verde, non è ovviamente un ulivo. Riusciamo cioé a discriminare tra il progetto di specie e l'evento virtuale, dove il primo è l'idea progettante post-metafisica, vero codice genetico dell'artificiale, ed il secondo la singola riconoscibile concretizzazione della specie, sia questo pino, ulivo od anche villa unifamiliare. E riusciamo ad operare distinzioni tra eventi diversi prodotti dalle medesime procedure. Non ci sono quindi distinzioni tra progetto del naturale e progetto dell'artificiale? Non dal punto di vista operativo del processo logico portante: le differenze sono più quantitative che qualitative, e ci obbligano ad una breve disgressione sulle omotetie e la matematica del caos. Da quando Benoit Mandelbrot sostenne in un suo famoso scritto13 che la lunghezza della costa britannica dipendeva unicamente dalla scala a cui venivano prese le misure, aumentando man mano che ogni sasso, ogni granello di sabbia veniva preso in considerazione nel profilo, la matematica dei frattali14 ha suscitato oltre che una notevole curiosità un certo sommovimento scientifico. Il fatto è che la strada aperta da Mandelbrot ha permesso di interpretare matematicamente fenomeni prima semplicemente considerati portatori di comportamenti caotici quali la crescita delle piante, la composizione dei cristalli di neve o i moti dei fluidi, mostrando tra l'altro come forme o reazioni estremamente complesse siano il risultato di operazioni semplici ripetute omoteticamente migliaia o milioni di volte o di effetti imprevedibili di risonanza tra i cicli15. Strutturalmente la differenza è tutta qui. Non conta che l'artificiale si evolva per scelte che definiamo soggettive ed il naturale attraverso scelte casuali16: entrambe le procedure generano un cambiamento, qualunque esso sia, che entra come input nei cicli successivi. Variano sostanzialmente i tempi di attuazione, non la logica: un oggetto di design come una sedia evolverà verso la complessità diversamente da una città, e questa avrà un'evoluzione perlomeno dissimile da quella di una specie naturale. Quindi: nell'artificiale il processo/progetto di specie tende a ridurre il numero dei cicli e ad aumentarne parallelamente la complessità, con apporti multidisciplinari, con vari gradi di controllo, mentre nel naturale i cicli di formalizzazione sono spesso elementari ma ripetuti per tempi più lunghi17. |
1. C. Soddu - E. Colabella, Il progetto ambientale di morfogenesi, Progetto Leonardo, Bologna 1992, pag. 7. 2. In "Logica della scoperta scientifica", Popper sostiene che nella scienza sono consentite solo teorie falsificabili, di cui cioè è possibile dimostrare la veridicità o la incongruenza. Su queste teorie si poggerà Lakatos per l'elaborazione delle sue teorie sui programmi di ricerca scinetifica e, più interessanti per questa tesi, sull'idea di progressività. 3. Si tratta di una mera conseguenza quantitativa: le richieste non formalizzate sono costantemente inferiori in numero alle pertinenze formali connesse. C. Soddu, E. Colabella, op. cit., pag.51 4. L'eredità storica della cultura architettonica degli ultimi settant'anni ha condizionato e condiziona pesantemente l'approccio al tema, avendo individuato, esemplificando, due modus operandi eterogenei ed in aperta antitesi tra loro: uno riferito all'empirismo degli standards e alla logica dell'International Style, l'altro teso ad inseguire la teorizzazione architettonica del gesto artistico e della sua irripetibilità. Come tutte le schematizzazioni, anche questa elimina il molto che c'é di grigio in favore del netto bianco e nero, ma chiarifica quali siano i termini in gioco. E se da un lato l'apporto del Movimento Moderno e l'insistenza da esso posta sulla metaprogettualità, cioè sullo studio della logica formale, è indubbio, è altrettanto evidente la forte carica di assiomaticità delle procedure di progetto che ne è derivata. 5. W. Ong, Oralità e scrittura, Il Mulino, Bologna 1986. 6. Nei linguaggi di programmazione il loop è un blocco di istruzioni che ciclicamente viene ripetuto all'infinito: questo a meno che non siano attivati controlli secondari di uscita. 7. C. Soddu - E. Colabella, op.cit. , pag. 8. 8. C. Soddu - E. Colabella, op.cit., pag. 13. 9. C. Soddu - E. Colabella, op.cit., pag. 25. 10. Un algoritmo è qui inteso in senso informatico, come procedura software che elabora dei dati di input restituendo un output utilizzabile o comunque controllabile dalla procedura stessa o da altro codice esterno. 11. C. Soddu - E. Colabella, op.cit., pag.15. 12. C. Soddu - E. Colabella, op.cit., pag. 54. 13. B. Mandelbrot, How long is the coast of Britain. La documentazione del software di disegno frattale Fractint dello Stone Soup Group, riporta che " In 1958 he joined IBM, where he began a mathematical analysis of electronic "noise" -- and began to perceive a structure in it, a hierarchy of fluctuations of all sizes, that could not be explained by existing statistical methods. Through the years that followed, one seemingly unrelated problem after another was drawn into the growing body of ideas he would come to call fractal geometry. Visualization was extended to the physical world as well. In a provocative essay titled "How Long Is the Coast of Britain?" Mandelbrot noted that the answer depends on the scale at which one measures: it grows longer and longer as one takes into account every bay and inlet, every stone, every grain of sand. And he codified the "self-similarity" characteristic of many fractal shapes -- the reappearance of geometrically similar features at all scales. First in isolated papers and lectures, then in two editions of his seminal book, he argued that many of science's traditional mathematical models are ill-suited to natural forms and processes: in fact, that many of the "pathological" shapes mathematicians had discovered generations before are useful approximations of tree bark and lung tissue, clouds and galaxies. Benoit Mandelbrot è nato a Varsavia nel 1924. 14. The ideas of fractal geometry can be traced to the late nineteenth century, when mathematicians created shapes -- sets of points -- that seemed to have no counterpart in nature. By a wonderful irony, the "abstract" mathematics descended from that work has now turned out to be more appropriate than any other for describing many natural shapes and processes. Perhaps we shouldn't be surprised. The Greek geometers worked out the mathematics of the conic sections for its formal beauty; it was two thousand years before Copernicus and Brahe, Kepler and Newton overcame the preconception that all heavenly motions must be circular, and found the ellipse, parabola, and hyperbola in the paths of planets, comets, and projectiles. In the 17th century Newton and Leibniz created calculus, with its techniques for "differentiating" or finding the derivative of functions -- in geometric terms, finding the tangent of a curve at any given point. True, some functions were discontinuous, with no tangent at a gap or an isolated point. Some had singularities: abrupt changes in direction at which the idea of a tangent becomes meaningless. But these were seen as exceptional, and attention was focused on the "well- behaved" functions that worked well in modeling nature. Beginning in the early 1870s, though, a 50-year crisis transformed mathematical thinking. Weierstrass described a function that was continuous but nondifferentiable -- no tangent could be described at any point. Cantor showed how a simple, repeated procedure could turn a line into a dust of scattered points, and Peano generated a convoluted curve that eventually touches every point on a plane. These shapes seemed to fall "between" the usual categories of one-dimensional lines, two- dimensional planes and three-dimensional volumes. Most still saw them as "pathological" cases, but here and there they began to find applications. Other investigators trying to understand fluctuating, "noisy" phenomena -- the flooding of the Nile, price series in economics, the jiggling of molecules in Brownian motion in fluids -- found that traditional models could not match the data. They had to introduce apparently arbitrary scaling features, with spikes in the data becoming rarer as they grew larger, but never disappearing entirely. For many years these developments seemed unrelated, but there were tantalizing hints of a common thread. Like the pure mathematicians'curves and the chaotic orbital motions, the graphs of irregular time series often had the property of self-similarity: a magnified small section looked very similar to a large one over a wide range of scales." Documentazione di Fractint, versione freeware, pagg. 123 e segg. 15. Il paradosso della farfalla è ancora un buon esempio di quello che si intende per risonanza nei fenomeni. Una volta assunta la complessità di un sistema, gli strumenti tradizionali di controllo non sono più in grado di offrire un coerente quadro di riferimento, poichè paradossalmente nel processo costitutivo di questo,una perturbazione ad esempio, potrebbe essere necessario risalire al battito delle ali di una farfalla in un'altra parte del mondo. Riportato da C. Soddu-E. Colabella, op.cit. 16. Scelte casuali che divengono comunque necessarie nel momento stesso in cui sono poste, proprio perché base del nuovo ciclo. 17. C. Soddu. E. Colabella, op. cit., pag.65.
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