L'idea di progettare uno spazio per la musica ha subito innescato in noi una serie di domande e riflessioni che ci sono servite successivamente ad allargare il campo d'azione e ad individuare diverse chiavi di lettura interpretative del rapporto musica - architettura - fruitore.
La prima riflessione è la constatazione del legame profondo tra musica ed
architettura: Goethe, nei suoi colloqui con Eckermann, definiva l'architettura
una "musica irrigidita"; Schopenhauer individuava invece un'analogia nel fatto
che una opera sul ritmo, l'altra sulla simmetria, due elementi formali apparentati.
Si può dire che come l'architettura modella lo spazio, la musica modella il tempo: "L'architettura
dà forma allo spazio informe; la musica struttura l'uniformità del flusso
temporale" (Fubini E.- "Formazione e trasformazione della musica e dei suoi
spazi dal Barocco al Rinascimento").
Ma vi è anche un altro punto di contatto tra le due discipline rispetto al tempo e
allo spazio: basti pensare che la realtà dell'opera architettonica deve necessariamente
essere vissuta temporalmente ( dentro e fuori, prima e dopo), così come per cogliere
un'opera musicale ricostruiamo con la nostra mente una sorta di struttura spaziale con la
quale connettiamo tra loro i suoni che si susseguono.
Inoltre, il legame musica - architettura è testimoniato da numerose sinestesie utilizzate
nel linguaggio comune, come per esempio "ritmi di spazi", "armonia di
strutture" oppure "architettura polifonica".
Approfondendo la riflessione su tale legame, ci siamo chieste quale fosse oggi il luogo
d'ascolto ideale della musica.
La produzione e diffusione elettromagnetica della musica ha rivoluzionato da qualche
decennio la fruizione musicale: se da un lato ha aperto nuove possibilità all'ascolto (la
musica può essere trasmessa dove si vuole e come si vuole), dall'altro ci ha abituato a
considerare come neutro l' ambiente d'ascolto (tecnicamente il luogo ideale sarebbe quello
privo di interferenze acustiche e psicologiche che disturbino la pura ricezione sonora).
Lo spazio architettonico, invece, ha una funzione importantissima come mediatore tra
evento musicale e pubblico: serve a convogliarlo verso un certo tipo di attenzione, a favorirne
la partecipazione, a predisporlo spiritualmente all'ascolto.
Se da un lato l'ascolto della musica è un'esperienza coinvolgente, soggettiva e che
richiede un'interiorizzazione da parte dell'ascoltatore, da un altro lato è un fatto
socializzante: da sempre la musica riunisce i suoi amanti e l'evento musicale è anche occasione
di incontro sociale.
La fruizione musicale oggi si sta trasformando ulteriormente grazie alla musica elettronica: non solo sono nate scuole di sperimentazione per la musica moderna in cui, con l'uso del computer, è possibile creare nuove sonorità, inventare nuovi timbri di uno strumento musicale, idearne di nuovi, ma sono stati messi a punto anche strumenti per la composizione e per l'interazione tra ascoltatori e produzione della musica.
Noi non possiamo sapere come sarà la musica del futuro, ma per il progettista consapevole che la vita di un'architettura non si esaurisce né col proprio tempo, né con le necessità funzionali per le quali è nata, la ricerca dell' adattività, intesa come capacità di rispondere a richieste imprevedibili fatte da imprevedibili utilizzatori, diventa indispensabile.
Obiettivi generali La capacità di un'architettura di rispondere ad esigenze non prevedibili dipende dal suo grado di complessità.Lo strumento di controllo della "storia" progettuale è un modello/ paradigma
che deve avere un'alta disponibilità a crescere e a cambiare, per poter accogliere
richieste sempre nuove.
Esso costituisce l'idea progettuale stessa, e quanto più saremo riusciti a farla
evolvere, tanto più raggiungeremo quella complessità che determina in gran parte la
qualità di un'architettura.
Scopo di questa sperimentazione, pertanto, è la costruzione di regole metaprogettuali che identifichino la nostra idea di architettura per la musica, e la loro verifica attraverso il confronto degli esiti che produrranno con le qualità inizialmente individuate come obiettivi.
IL METAPROGETTO: progettare l'idea
"Il progetto di specie è un metaprogetto soggettivo, cioè un progetto che mette in luce, definisce e controlla le procedure soggettive di approccio alla complessità. Avendo come obiettivo la capacità di risposta dell'ambiente costruito alle esigenze intersoggettive dell'uomo".(Soddu- Colabella,
"Il progetto ambientale di morfogenesi", Esculapio, Bologna 1992; p.50)
L'esigenza di progettare una specie anziché
l'individuo- evento architettonico nasce dalla necessità contemporanea di ritrovare
quella diversificazione "individuale" tipica del prodotto artigianale,
che con l'era industriale è stata sottovalutata in favore della produzione in serie e
della ripetizione di eventi, ottimizzati dal punto di vista funzionale ed economico.
Infatti la specie, come possiamo osservare nella natura, produce individui formalmente
differenti e non omologati, ma sempre riconoscibili come appartenenti alla stessa matrice:
"Le nuvole si muovono nel cielo dilatandosi e modificando all'infinito la loro
immagine.[
] Eppure, nonostante l'aleatorietà di queste sequenze, le nuvole hanno
sempre la forma di nuvole, anche se possono alludere ad altre forme." (C. Soddu,
"Città Aleatorie", Masson, Milano 1989)
Tuttavia il metodo metaprogettuale nasce anche dall'obiettivo di " arrivare ad una
consapevolezza, da parte del progettista, non della qualità di una sua opera, più o meno
"indovinata", ma dalla sua stessa maniera di progettare, del suo
approccio creativo all'ambiente" (Soddu- Colabella, "Il progetto ambientale di
morfogenesi", Esculapio, Bologna 1992; p.81).
Soltanto attraverso la realizzazione, anche virtuale, di un alto numero di individui-
architetture è possibile verificare la rispondenza del procedimento progettuale che
attuiamo all'idea di architettura che ci siamo fatti e di conseguenza, la qualità di
questa idea.
Presupposto del metaprogetto, il cui obiettivo non è la produzione dell'evento unico,
ma di un codice genetico di possibili individui, è che al suo interno le singole
formalizzazioni contingenti non sono determinanti ai fini della qualità della specie.
Infatti, poiché non c'è coincidenza tra risposta ottimizzata e forma,
quest'ultima può essere considerata intercambiabile: posso rispondere alle stesse
richieste ( funzionali, culturali, di immagine
) anche con forme diverse, purché
rispondano agli stessi obiettivi di qualità.
Il problema diventa allora costruire la procedura per arrivare ad una forma di
quella qualità (il suo DNA) ed individuare così le possibili alternative tra cui
scegliere. Non si tratta però di strutturare un catalogo fisso di risposte formalizzate,
ma piuttosto dispositivi di generazione in continua evoluzione e senza limiti
precostituiti, i quali, messi in risonanza con altri dispositivi, incrementino la dinamica
evolutiva.
La forma, come abbiamo visto, non deriva dalla funzione, ed è "impensabile dedurre le scelte formali dalle richieste del progetto, anche perché le risposte formalizzate operano, ed orientano, un campo di pertinenza molto maggiore delle richieste." (Soddu- Colabella, Op. Cit. ; p.24). Il metodo utilizzato per le matrici, allora, deve essere necessariamente adduttivo, cioè procedere dalla soggettività del progettista e dai suoi riferimenti ( più o meno colti, storici, di moda, emozionali, casuali ) all'assunzione di tali riferimenti come regola compositiva.
Il controllo della logica progettuale che si sta costruendo avviene per mezzo di un paradigma
indiziario, cioè una "ipotesi soggettiva di organizzazione non solo degli
elementi/ richieste esistenti, ma soprattutto di quelli a venire." (Soddu- Colabella,
Op. Cit. ; p.205).
In quanto ipotesi, non è definibile a priori come giusta o sbagliata; è semplicemente
una struttura organizzativa del possibile, che permetta di lavorare sul totale e sul
dettaglio; è la regola che gestisce l'idea che si sta costruendo.
Le matrici formali si innestano nel paradigma che ne orienta le modificazioni successive: "in questo contesto ogni forma diviene una richiesta di trasformazione per le altre, e tale richiesta viene soddisfatta con trasformazioni che a loro volta si ripropongono come richieste, e così via sino alla fine del tempo progettuale simulato." (Soddu- Colabella, Op. Cit. ; p.91). L'iterazione di questo ciclo consente al modello metaprogettuale di arricchirsi di possibili significati, di evolvere verso la complessità e pertanto di acquisire maggiore capacità di risposta intersoggettiva.
La dinamica evolutiva attuata può avere momenti di discontinuità, come il
passaggio da un paradigma che non riesce più a controllare l'incremento di complessità,
ad un altro comprensivo del primo ma che ci consenta ulteriori sviluppi.
Un momento di riflessione costruttiva di tale dinamica, invece, è rappresentato
dalla verifica: confrontando gli eventi- scenari prodotti dal
metaprogetto fino a questo momento, con il mondo desiderabile che abbiamo ipotizzato
inizialmente definendo gli obiettivi, ma che si è evoluto a sua volta durante la storia
metaprogettuale, valutiamo la validità del modello che stiamo producendo, cioè della
nostra idea progettuale.