INTRODUZIONE

 

L'oggetto della nostra sperimentazione all'interno del laboratorio di progettazione generativa sono le strutture spaziali reticolari. La guida che abbiamo seguito nella sperimentazione è stata la nuova metodologia di approccio al progetto, sperimentata operativamente, dal Prof. C. Soddu e dalla Prof. E. Colabella. Questa metodologia "Nasce dall’ipotesi di poter operare sperimentalmente nel campo dell’evoluzione temporale dell’artificiale utilizzando la falsificazione sistematica propria delle procedure di scoperta scientifica. In questa ricerca è stata quindi privilegiata la logica all’evento, il metaprogetto al progetto. Associando la logica progettuale allo sviluppo ambientale, in quanto ambedue sono procedure imprevedibili ma controllate dalla capacità del sistema di auto-organizzarsi per conservare la propria identità. Ogni logica di sviluppo (progettuale o evolutiva) esplicita una particolare struttura di ordine complesso e di densità di significati che la distingue, identificandola a prescindere dai singoli esiti contingenti, quindi dai singoli eventi realizzati. Il metodo operativo consiste nella realizzazione sperimentale, attraverso software originali di Intelligenza Artificiale realizzati ad hoc, di uno strumento capace di simulare le procedure logiche di alcuni specifici (e soggettivi) incrementi progressivi di complessità. Tale strumento opera sul virtuale possibile: ogni volta che viene attivato genera una sequenza di scenari architettonici/ambientali sempre diversi ma riconoscibili come appartenenti ad una stessa specie, rispondenti alla medesima logica progettuale... Ogni progetto di specie è un metaprogetto soggettivo in quanto non consiste in una soluzione finale ma in un sistema che genera un universo di possibili e paralleli scenari. La sua evoluzione non è gestibile modificando uno dei risultati ma operando sul codice evolutivo. La valutazione della qualità si basa sull’affidabilità del sistema a fronte dell’imprevedibile. Una affidabilità, questa, tipica dei sistemi viventi in quanto basata sulla capacità di auto-organizzazione e sul presupposto del possibile interscambio continuo dei componenti."(1)

I motivi che ci hanno spinto alla scelta di queste particolari forme costruttive come campo di ricerca, sono i seguenti: innanzitutto esse assumono un ruolo importante all'interno della storia dell'architettura segnando il passaggio tra le costruzioni tradizionali,in cui tutti gli elementi portanti si trovano in uno stesso piano, e le costruzioni a tre dimensioni in cui gli elementi portanti possono essere disposti in una direzione qualsiasi dello spazio.

Esse rappresentano tuttora, per i progettisti, la possibilità di realizzare una nuova architettura di forma e di dimensione, con vantaggi tecnici ed estetici strettamente ed armonicamente legati.

I maggiori vantaggi ottenibili dall'impiego delle strutture spaziali sono:

"Possibilità di ripartire le linee d'azione delle forze, che agiscono sulle strutture, nello spazio, in questo modo la maggior parte delle tensioni si eguagliano costituendo un campo di forze omogeneo, senza punte di carico troppo marcate e conferendo alla struttura una grande resistenza alle sollecitazioni esterne. Le tensioni interne diminuiscono e, insieme a queste, le sezioni necessarie degli elementi tesi e compressi; si realizza in tal modo un'apprezzabile economia di materiale.

L'impiego dell'acciaio per la realizzazione delle strutture spaziali aumenta ancora i vantaggi sopra indicati, in quanto l'acciaio possiede grande resistenza a rottura sotto l'azione dei diversi sforzi meccanici.

La Prefabbricazione e la Standardizzazione degli elementi costitutivi, l'impiego di manodopera meno numerosa, sono altri fattori che portano ad una maggiore economia"(2) (Z. S. Makowski, "Strutture spaziali in acciaio", Milano 1978).

 

A questo punto si rende necessaria una puntualizzazione riguardo ai concetti di prefabbricazione e standardizzazione sopra accennati, intesi non come produzione di una serie infinita di oggetti uguali, ma come produzione di una serie variata di oggetti industriali sempre diversi.

"Una particolare attenzione deve essere posta quando il progetto di morfogenesi opera nel design. Nell'oggetto industriale il progetto di specie esprime tutte le proprie potenzialità, dato che progettare il disequilibrio, la dinamica evolutiva, significa ritrovare negli oggetti generati il senso delle forme irripetibili e sorprendenti della natura. È come operare avendo come obiettivo una generazione di infiniti oggetti unici tutti differenti ma tutti riconoscibili come specie, come espressione plurima dell'idea compositiva che stiamo costruendo. E questi oggetti, che il progetto di morfogenesi genera in tempo reale come modelli tridimensionali, come oggetti virtuali, hanno caratteristiche strutturali che li rendono naturalmente adatti ad essere prodotti industrialmente con macchine a controllo numerico.

Il progetto di specie e la produzione tramite robot presentano infatti sinergie eccezionali. L'utilizzazione di queste macchine ha, teoricamente, un costo economico equivalente sia che gli oggetti prodotti siano tutti identici, sia che siano uno differente dall'altro. Il costo della diversificazione si quantifica nel lavoro e nei tempi di riprogrammazione necessari alle variazioni dell'oggetto in produzione. Il progetto di specie annulla quest'incidenza, producendo, in tempo reale, oggetti virtuali diversificati, che possono essere già strutturati e formalizzati come riprogrammazione di una macchina a controllo numerico.

Operare direttamente progettando la dinamica evolutiva è, quindi, un adeguamento/ribaltamento del campo specifico del design, che si pone in sintonia con una trasformazione, peraltro già in parte avvenuta, della produzione industriale: la riconversione dalla catena di montaggio ai robot. Il risultato è la riscoperta dell'unicum, come individualità all'interno di una specie, che ripropone nell'oggetto industriale l'aura di oggetto artistico unico (o di oggetto naturale irripetibile) che era stata negata dalla riproduzione tecnica di multipli.

La generazione di unicum diventa normale anche nella produzione industriale, come lo è stata per secoli nella produzione artistica. Quello che oggi è ancora la norma, la serie di oggetti tutti identici, diviene un'eccezione dovuta al congelamento artificioso di un momento evolutivo. Questo approccio alla progettazione/produzione risponde globalmente ad esigenze che sono proprie della società contemporanea: una qualità totale che risponde ad esigenze non ancora poste, che crea le molteplicità dei riferimenti possibili prima ancora che siano soggettivamente espressi, ma all'interno di dinamiche di sviluppo in cui l'eterotipia diventa una chiave di lettura e controllo della qualità".(3)

Nostro intendimento è di incrementare l'apporto tecnologico dei sistemi di strutture spaziali reticolari al fine di ottenere un miglioramento delle capacità adattive di tutto il sistema rispetto ad altre tecnologie costruttive, alla situazione ambientale e al contesto in cui si andranno ad inserire. Altro obiettivo che ci proponiamo di perseguire riguarda la possibilità di integrare l'interfaccia strutturale, in un sistema di gestione e controllo di molteplici contingenze micro e macro ambientali.

 

" La preoccupazione per l'uomo deve sempre costituire l'obbiettivo primario di ogni sforzo tecnologico".

Albert Einstein, (Archivio Einstein 58-418)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GENESI DEI SISTEMI RETICOLARI SPAZIALI

 

I sistemi reticolari spaziali sono l'approdo di un graduale percorso di ricerca sui materiali e sulle strutture, il cui ritmo è scandito, a partire dalla fine del '700, dagli sviluppi della produzione industriale.

Proveremo pertanto a tracciare le linee principali di tale evoluzione attraverso due chiavi interpretative: da un lato la rivoluzione dei tradizionali canoni costruttivi operata dai mutamenti tecnologici che sanciscono l'avvento del ferro e dell'acciaio; dall'altro la maturazione di un mondo produttivo aperto agli scambi intersettoriali, grazie alla quale i sistemi reticolari spaziali, studiati dalla fine dell' 800 espressamente per l'industria aeronautica, vengono più tardi mutuati nonché perfezionati dall'industria edilizia.

Nell'alveo dell'empirismo settecentesco inglese matura un impulso innovativo che apporta cospicui cambiamenti nelle attività industriali e dischiude nuove frontiere anche alla tecnica delle costruzioni: il simultaneo sviluppo dei comparti estrattivo e meccanico introduce la lavorazione su vasta scala della ghisa e del ferro.

I ponti, che disseminano le ormai numerose linee ferroviarie li dove è necessario l'attraversamento dei corsi d'acqua, sono i primi poderosi banchi di prova per le costruzioni metalliche, poiché richiedono il dispiegamento di considerevoli capacità strutturali.

L'ipotesi di una produzione massiccia di componenti per la carpenteria metallica diviene realistica solo dopo la scoperta della macchina a vapore: essa perfeziona e accelera i meccanismi di azionamento dei macchinari industriali, rendendo così i vecchi treni di laminazione messi in moto da pompe idrauliche.

Già alla fine del '700 è attivata un'ampia lavorazione di ghisa, tanto da affinare per ottenere ferro, quanto da fondere per ricavarne componenti costruttivi. La ghisa viene colata ancora allo stato fuso in stampi previamente costruiti su disegno dell'oggetto da realizzare; essa non richiede perciò, come invece il ferro, alcuna manodopera addetta alla forgiatura. La tecnologia del calco, adottata per modellare la ghisa, oltre a garantire notevole rapidità di esecuzione, lascia ampi margini di libertà nell'attribuire forme e dimensioni ai pezzi.

Per contro, la paziente e artigianale opera di fucinatura di cui necessita il ferro, ancorché piuttosto lenta, assicura un'omogeneizzazione delle caratteristiche fisiche del pezzo lavorato che diviene così più resistente. Un deciso orientamento verso l'uso della carpenteria in ferro si impone per via della scarsissima resistenza a trazione della ghisa. Il rapido movimento dei carrelli dei laminatoi, ormai tutti azionati a vapore, rende per giunta la produzione del ferro altamente competitiva con quella della ghisa. La costruzione di ponti mobilita enormi sforzi: bisogna studiare il modo per valicare i fiumi dai letti molto larghi riducendo il numero degli appoggi che vanno distanziati in modo tale da non ostacolare il passaggio dei mezzi fluviali. La chiave risolutiva risiede nelle multiformi applicazioni della lamiera inchiodata, già adoperata con eccellenti esiti di rigidezza e solidità nelle caldaie e nelle chiglie delle navi. Dall'idea dell'assemblaggio di lamiere ed angolari di vari spessori, realizzato tramite chiodatura, nascono le prime putrelle composte a doppia T e i profili scatolari.

La comparsa delle sezioni cave, importantissime per la costruzione metallica perché capaci di massimizzare e omogeneizzare le caratteristiche inerziali nonostante un minimo peso, è indubbio preludio alla moderna concezione delle strutture reticolari spaziali in tubi d'acciaio. Trovate le geometrie adatte alle sezioni dei componenti costruttivi, occorre compiere un ulteriore passo: conferire leggerezza alle strutture. Ma l'utilizzo di tale nuova potenzialità che si tradurrà in una prima fase nell'ideazione delle travi tralicciate, resterà prematuro fino al compimento dell'esperienza del ponte Britannia. L'opera realizzata in Inghilterra dall'ingegner Stephenson tra il 1846 e il 1850 testimonia le eccellenti facoltà strutturali dei profili cavi. Essa consiste di quattro tunnels di lamiera inchiodata snodantisi in due campate centrali lunghe 140 metri e due laterali lunghe 70 metri che poggiano su file murarie. I cassoni rigidi entro i quali viaggiano i treni sono collocati a un'altezza di 40 metri sulla superficie dell'acqua, in modo tale da non intralciare la navigazione.

Lo snellimento dei processi produttivi dei componenti è l'indispensabile prerogativa per la costruzione di un ponte di simili dimensioni: da un lato i laminatoi sono ormai in grado di fornire una vasta gamma di profilati, dall'altro la messa a punto delle tecnologie di giunzione, e in particolare della chiodatura a caldo, permette un rapido ed agevole assemblaggio dei pezzi.

Le travi a pareti piene del Britannia comportano tuttavia un enorme dispendio di materiale. È matura perciò la formulazione di un'alternativa che ottimizzi non solo il costo ma anche il peso della struttura: nascono le travature reticolari che, oltre ad innovare l'architettura in ferro con la conformazione a traliccio, eclissano definitivamente le vecchie travi in ghisa, poco elastiche e molto ingombranti. L'impiego delle travi tralicciate complica sensibilmente il problema delle giunzioni, sia sotto l'aspetto realizzativo, sia sotto l'aspetto della concezione strutturale d'insieme che impone di decidere se il collegamento debba essere rigido o articolato e perciò di assegnare ad ogni elemento ben determinate capacità resistenti. Dal punto di vista costruttivo, alla costosissima forgiatura dei nodi, che richiede manodopera specializzata, si sostituiscono gradualmente le tecnologie di bullonatura. Benché il montaggio risulti facilitato, l'uso dei bulloni richiede la forgiatura dei componenti e ne comporta un indebolimento che rende i punti di connessione molto delicati.

Poco dopo il 1860 emerge una nuova coordinata nella geografia delle costruzioni metalliche. Con l'introduzione degli altiforni preriscaldati, la materia prima, dispostavi a cariche alternate con il carbon coke, viene ben affinata e si tramuta in acciaio dolce di altissima capacità portante. La gradualità con cui i nuovi forni portano a fusione il materiale ne garantisce un trattamento più efficace; le caratteristiche di resistenza del prodotto finale sono molto omogenee.

I nuovi profilati in acciaio, che offrono prestazioni strutturali molto superiori a quelle del ferro, possono avere dimensioni ridotte. Il peso delle costruzioni cala notevolmente ed è possibile erigere ponti anche di enormi luci, impensabili se si utilizzasse il ferro. In tal caso il peso proprio rischierebbe di divenire preponderante rispetto ai carichi di esercizio, e metterebbe a dura prova le capacità resistenti della struttura.

L'acciaio viene impiegato nella realizzazione del mastodontico ponte Firth of Forth, eretto nelle vicinanze di Edimburgo tra il 1883 ed il 1889, su una linea ferroviaria scozzese. Si tratta di una struttura spaziale di misure abnormi estesa su una luce di 2200 metri, caratterizzata da giganteschi nodi in cui confluiscono tubi di lamiera inchiodati e tralicci. La sua costruzione fu possibile grazie ai procedimenti tecnici che permettevano di fabbricare lamiere pesanti, di dar loro la forma voluta e di unirle con un sistema di chiodatura in colossali tronchi cilindrici, congiunti in giganteschi nodi. Da qui in tutte le direzioni si irraggiano gli elementi della costruzione formando un sistema di costruzione spaziale.

È esatto considerare il ponte Firth of Forth un esempio della scomposizione delle masse, solo se si osserva l’opera intera nelle sue dimensioni sovrumane. I singoli tronchi, anche se corpi vuoti, sono simili ad una massa pesante e solida, specialmente se li si paragona ad altre costruzioni di quel tempo.

Il percorso verso la leggerezza, già in parte traguardata con le travi reticolari, trova un ulteriore sbocco nell'utilizzo di cavi d'acciaio intrecciato che lavorino a trazione tenendo i ponti sospesi. In particolare gli studi dell'ingegner Roebling, intesi a dimostrare la capacità portante di cavi con grande sezione provvisti di appropriati ancoraggi al suolo, vengono applicate già nel 1867 alla costruzione del ponte strallato di Brooklin sull'East River, lungo 480 metri.

La leggerezza, così ben trasfigurata nei ponti sospesi, esige tuttavia un'attenta progettazione di dispositivi di irrigidimento; strutture concepite per essere leggere risentono molto degli effetti del vento che può farle oscillare fino a mandarle in risonanza.

La diffusione dell'acciaio è foriera di un cambiamento di scala nelle costruzioni che si manifesta non solo nei ponti. Il ragguardevole rapporto tra la resistenza e la leggerezza del nuovo materiale legittima a pensare che strutture di grande altezza possano stare in piedi. Il proliferare di grattacieli, in particolare in America, delinea l'affermazione dell'ossatura in acciaio, costituita da elementi solidarizzati in modo tale da formare una scatola rigida, controventata, nella quale i muri esterni svolgono una funzione di semplice tamponamento.

L'acciaio accompagna al tramonto le massicce opere in muratura, invertendone la logica strutturale. Gli enormi spessori dei pannelli murari divengono inutili quando ormai non è più necessario che il peso, entro i limiti della resistenza del materiale, funga da camera di compensazione delle azioni flettenti provenienti dai solai: una esile sezione in acciaio può fronteggiare tranquillamente le trazioni da essi indotte. Le nuove leggere coperture metalliche, rispetto a quelle tradizionali lapidee, possono abbracciare spazi più estesi mettendo loro a disposizione notevoli risorse di flessibilità dimensionali. Le grandi strutture in acciaio impongono una considerevole evoluzione qualitativa del cantiere: le procedure di messa in opera dei componenti costruttivi, quasi del tutto artigianali nel caso della ghisa e del ferro, divengono industrializzate. Non bastano più semplici impalcature per assemblare i pezzi, ma è necessario che le imprese investano in macchinari edili e attrezzature che permettano il montaggio anche alle grandi altezze. L'evoluzione tecnica che decreta il successo della costruzione metallica si sincretizza inoltre con i rilevanti avanzamenti compiuti dalla scienza delle costruzioni nel campo delle verifiche di resistenza i cui principali criteri, non a caso tarati sull'acciaio, costituiscono un ulteriore avvallo al suo impiego.

Non sono solo le possenti opere infrastrutturali a richiedere l'uso dei materiali metallici. L'architettura svolge nell'800 anche una funzione celebrativa del progresso industriale, ed assolve tale ruolo erigendo edifici monumentali in occasione delle grandi esposizioni. Si tratta di immensi spazi pubblici coperti entro cui dislocare macchinari e ogni altra tipologia di prodotti presentati dai vari gruppi industriali. Le costruzioni metalliche permettono di disporre al meglio di superfici anche vaste, grazie ad elementi strutturali con sezioni molto ridotte, nonché meno pesanti, rispetto a quelle murarie tradizionali. In molti casi scompare, con un uso dell'ossatura metallica esteso a tutta la struttura, la distinzione tra pareti e copertura.

Il primo edificio adibito ad esposizione che contiene qualche significativo preludio della logica sottesa ai sistemi reticolari spaziali è il Crystal Palace predisposto da Sir Joseph Paxton a Londra nel 1851. Gli elementi della costruzione sono pali in ghisa, travi tralicciate in ferro e lastre di vetro, tutti di dimensioni standardizzate, di modo che le due prerogative della smontabilità e dell'espandibilità modulare siano connaturate con la struttura.

Il principio della prefabbricazione è già in embrione. Nondimeno la tecnologia realizzativa delle giunzioni, non proprio adatta ad applicazione seriale, rende i costi di montaggio probabilmente troppo onerosi rispetto al costo dei materiali impiegati.

L'immagine esterna indubbiamente suggestiva del Crystal Palace non è sufficiente a far sottovalutare alcune vistose approssimazioni tecniche. In realtà la connessione tra le colonne in ghisa e le travi in ferro richiede una procedura piuttosto artificiosa legata alla necessità di costituire un'ossatura rigida con un materiale poco resistente ad azioni flettenti come la ghisa: Paxton ricorre all'espediente di chiudere ed irrigidire i giunti con cunei di ferro lavorato o di legno di quercia che blocchino ogni possibile spostamento relativo trave-colonna nei nodi, affinché la stabilità dell'edificio non sia compromessa.

Si può nonostante ciò riconoscere che lo stesso Paxton individua l'intelligente soluzione delle colonne cave di diametro esterno analogo e diametro interno variabile in funzione degli sforzi da fronteggiare, grazie alla quale i collegamenti, avendo le medesime caratteristiche geometriche, possono se non altro essere standardizzati. Il montaggio del Crystall Palace, realizzato in tempi piuttosto rapidi, si giova di un cantiere tecnicamente avanzato attrezzato con gru per il collegamento dei pezzi. "Quando Paxton, occupandosi di giardini, si trovò davanti al compito di costruire serre di maggiore grandezza, non si preoccupò di progettare un particolare edificio, ma si interessò solo del problema del metodo della costruzione e della sua possibilità di impiego universale. Questo appare chiaro se si osserva come i diversi progetti, poi quasi tutti distrutti, venissero preparati solo dopo accurati studi dei metodi di produzione, dell’esame del materiale e dello sviluppo dei particolari. Solo in seguito questi elementi potevano venire uniti in varie combinazioni e ciò per gli scopi più diversi, attraverso un atto assolutamente nuovo più libero e creativo.

J. Paxton fu così l’iniziatore di quelle ricerche che portarono alla scomposizione della struttura architettonica, ogni elemento doveva adattarsi alle funzioni via via richieste. Non aveva più importanza quanto un edificio dovesse essere grande, bastava che mantenesse certe proporzioni ; il numero delle singole parti determinava la grandezza.

Il Palazzo di Cristallo può venire considerato come la svolta evidente, dopo la quale l’intero sviluppo della storia dell’edilizia ha preso un’altra direzione. Tutta la costruzione è basata su un reticolo modulare di aste di sostegno ; l’intelaiatura consiste di colonne di ghisa standardizzate e vuote, di uguale diametro esterno, costruite però all’interno con pareti di spessore differente, in relazione al diverso peso che dovevano sostenere. Fu così possibile fabbricare i tiranti e le travi di congiunzione in elementi standardizzati e le colonne con una produzione di serie. Si utilizzarono tiranti di tre tipi: in ghisa, in ferro battuto e in legno. Le congiunzioni delle snelle colonne di ghisa furono realizzate con appoggi standardizzati che servivano, come già si è detto, a dare all’edificio, privo di pareti massicce, la solidità trasversale sufficiente. Lo sviluppo delle travi di sostegno, le loro sezioni trasversali, il loro rastremarsi nel punto di appoggio, il loro tracciato geometrico, seguivano le linee di forza del sistema statico e determinavano l’intero carattere della costruzione. Se si considera lo stile del tempo, questo edificio appare estraneo alla sua epoca nonostante fosse, in ultima analisi, da essa condizionato."(4) (K. Waksmann, "Una svolta nelle costruzioni", Il Saggiatore, Milano 1960)

I tentativi di prefabbricazione, riusciti solo in parte a Paxton, hanno invece deciso successo nel lavoro di Gustave Eiffel, autore di altri due monumenti simbolo del progresso industriale, la Galerie des Machines del 1867 e la Tour Eiffel del 1889, entrambi realizzati per esposizioni universali svoltesi a Parigi. Nella Torre Eiffel si evidenzia in modo sorprendente lo scomporsi dei tronchi in costruzioni a traliccio di fine membrana. "La necessità di servirsi di profilati solitamente usati in commercio portò probabilmente alla forma a cassone delle singole parti. Ma Paxton aveva già ottenuto un migliore adeguamento alle esigenze statiche perché le parti da lui usate, variano di grandezza, rispondevano meglio alle forze in gioco di quanto non facessero le travi a traliccio parallele e composte di superfici bidimensionali di Eiffel. Ma ciò che stupisce se si considera la Torre Eiffel, è che la sua costruzione, nonostante la geometria bidimensionale delle parti singole basate sul rettangolo, formi nell’insieme una specie di sistema spaziale.

Ciò è evidente soprattutto nella ricchezza di variazione dei nodi, spesso disposti in modo molto pittoresco, i quali, con l’aiuto di lamiere anch’esse a due dimensioni, uniscono i singoli tronchi in modo da formare una composizione spaziale. Si manifesta qui una discrepanza tra la concezione di spazio e quella di superficie.

Questo modo di concepire le costruzioni in senso spaziale non è assolutamente nuovo e lo si vede nelle costruzioni gotiche, soprattutto nella direzione e nel rapporto delle nervature delle volte dei sistemi spaziali, nel loro suddividersi, raggrupparsi ed irraggiarsi in tutte le direzioni"(5). La metodologia adottata da Eiffel poggia su una vasta sperimentazione di laboratorio: qui avviene il premontaggio di buona parte degli elementi, di modo che il lavoro di cantiere sia ridotto all'assemblaggio di grossi pezzi già composti e già forati in officina nei punti in cui sono previste le forature. La rapidità e la precisione della messa in opera sono il risultato di disegni costruttivi e di calcoli meticolosi. Sono poste ormai tutte le premesse perché la struttura articolata nello spazio, i cui componenti si diramino in piani diversi, entri nella prassi comune delle costruzioni.

Solo l'800 positivista, generosa sorgente di una feconda osservazione della natura e inesauribile miniera di fiducia nella scienza, potrà spiccare il salto verso la smaterializzazione delle costruzioni e vincere l'inveterata tendenza oscurantista a fidarsi poco di materiali non ingombranti.

Alex G. Bell è la mente geniale che già dalla fine dell'800 con strabiliante versatilità plasma le tre dimensioni, facendo propria una visione dei problemi costruttivi non relegata sul piano di un foglio, ma concretamente innervata sullo spazio quale oggetto di sperimentazione fisica.

Intorno a un simile approccio si coagula l'idea, messa a punto per primo, di costruire macchine volanti mediante assemblaggio di tetraedri in acciaio. Ogni sforzo ideativo è finalizzato perciò ad ottenere la massima stabilità perseguendo continui miglioramenti dei materiali adoperati e della configurazione geometrica della struttura.

I tetraedri che Bell si diletta a congiungere in assetti molteplici, disegnano travature che si diramano, incrociandosi, in più piani. La struttura finale travalica le limitazioni imposte dagli elementi mono e bidirezionali, trasformandoli in materiali per una costruzione nello spazio. La conquista di Bell, che individua per primo l'unità base di un grigliato spaziale, è nell'aver congegnato un collegamento di aste e nodi identici, architettando lo scheletro di un solido capace di sviluppare un comportamento tridimensionale.

A parte le suggestive applicazioni alle tecnologie aeronautiche, è lo stesso Bell che indica la traccia da seguire per ulteriori sviluppi dei sistemi strutturali da lui inventati. Egli è convinto che la cellula tetraedica si possa adoperare non solo negli aquiloni ma in ogni struttura, dai ponti alle case d'abitazione, in cui si vogliano coniugare resistenza e leggerezza. L'orditura di tetraedri irradiantisi in tutte le direzioni è un unico corpo rigido che ha bisogno solo di tre appoggi alla base. Bell immagina che tali sistemi reticolari possano sostituire gli archi dei ponti e fungere da coperture di grandi edifici. La standardizzazione dei componenti garantirebbe inoltre l'economicità anche di costruzioni molto estese.

Nel 1907, a riprova della fondatezza dell'ipotesi, Bell costruisce una torre di osservazione in tubolari d'acciaio presso i suoi laboratori. Concepita come un tripode, una volta eretta raffigura essa stessa un gigantesco tetraedro. Svettante sino a 20 metri, essa è realizzata con 260 unità base alte 1.20 metri, in tubi di diametro 1.3 centimetri. La messa in opera avviene prevalentemente a terra ove, senza necessità di competenze specialistiche, i componenti standardizzati vengono assemblati a formare le tre gambe. Completa di una piattaforma di osservazione e di una scala di accesso collocata all'interno di una di esse, la torre pesa meno di 5 Tonnellate.

Con la riuscita di questo esperimento Bell brevetta un nuovo metodo costruttivo, preconizzando promettenti evoluzioni tecnologiche. I suoi schizzi di ponti a struttura tetraedrica e di giunti in lamiera metallica da stampare in serie incoraggiano a percorrere una strada inesplorata: il principio dell'assemblaggio di tetraedri standardizzati può essere con successo applicato anche alle strutture ingegneristiche ordinarie.

 

 

 

L'OCCASIONE

 

L'inizio del nostro lavoro coincide con una presa di conoscenza delle struttture spaziali e degli elementi che le compongono, della loro costruzione e soprattutto delle loro applicazioni. Il passo successivo è rappresentato da visite conoscitive presso le maggiori case di progettazione e realizzazione di strutture spaziali, e alle interviste da noi effettuate ai progettisti di queste aziende. L'obiettivo di queste inteviste è stato capire la tecnologia, le applicazioni, e soprattutto i limiti derivanti dal suo utilizzo. Le risposte dateci a quest'ultimo quesito sono per noi le più interessanti, perchè ci hanno introdotto a quello che sono gli sforzi progettuali attuali e gli sviluppi futuri di questa tecnologia costruttiva. Da quanto rilevato deriva l'idea che la nostra sfida di progettisti debba essere mirata ad ottenere un incremento delle capacità adattive dei sistemi strutturali spaziali nei confronti di altre tecnologie costruttive e dei sistemi edilizi con cui tali strutture devono dialogare, seguendo questa strada cercheremo di raggiungere il nostro obiettivo principale che è rappresentato dal raggiungimento di un alto grado di riconoscibilità degli eventi generati dalla logica progettuale da noi adottata, il design di morfogenesi elaborato dal prof. C. Soddu e dalla Prof. E. Colabella, e di conseguenza riconoscibilità di noi progettisti.