Il momento progettuale inizia nel momento stesso nel quale tracciamo il primo segno su di un foglio di carta ovviamente il nostro catalizzatore sarà tanto più utile alla progettazione quanto più esso sarà allusivo e mancante di categoricità. questa scelta porta il sistema sul quale stiamo operando verso lo stato di disequilibrio che non sappiamo ancora dove ci porterà, o meglio sappiamo che ci condurrà in un area dove il sistema si evolverà in modo globalmente stabile ma localmente indeterminabile. Questo vale in modo più generale per i sistemi che riguardano progetti di specie naturali, artificiali e naturali-artificiali ma non solo, le stesse dinamiche le possiamo riscontrare anche nel singolo progetto di architettura.
Se insistiamo in questa direzione non possiamo fare altro che ritenere che dopo un certo periodo di tempo il nostro segno sul foglio ha generato un flusso entropico crescente che ha portato il sistema verso un disordine dal quale non possiamo decodificare molte informazioni. Il progetto però si evolve diversamente dal modo così descritto il suo comportamento è infatti simile a quello dei sistemi biologici, unici sistemi che contraddicono il già enunciato principio.
Gli organismi biologici ed i sistemi ecologici mostrano capacità di andare in direzione opposta: dal disordine all'ordine. Un sistema biologico attraverso la metabolizzazione di energia produce ordine o almeno mantiene l'ordine esistente.
Un progetto, come d'altronde un
sistema biologico, è come diceva Shrodinger "un'isola
a entropia decrescente ovvero capace di mantenere una propria organizzazione
o migliorarla a spese del sistema di cui fa parte". Si ha
quindi un flusso di neg-entropia (organizzazione) che alimenta il sistema
vivente e che si traduce in una produzione di entropia nell'ambiente in
cui il sistema è immerso.
La categoria dei sistemi dinamici dissipativi sono sistemi che possiedono meccaniche abbastanza semplici da spiegare: le risposte del sistema ad eventuali disturbi esterni tendono a ridursi nel tempo ritornando, a meno di disturbi ulterioriori, allo stato che caratterizza il sistema nel lungo periodo, nel caso specifico di un sistema fisico questo porta ad una degradazione dell'energia.
Un sistema dinamico può essere analizzato considerando attentamente il tipo di attrattore che ne rappresenta il comportamento. Esistono tre tipi principali di attrattori:
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Questa divisione non esclude che un dato sistema non possa, a seguito di alcune sollecitazioni, compiere un tragitto attraverso tutte queste tre fasi.
Il quarto e più importante tipo di attrattore, ai fini della nostra ricerca, che ci interessa conoscere è quello che viene definito "attrattore strano" in questo caso in sistema non percorre mai la stessa strada ma rimane all'interno di uno spazio ben definito dentro il quale non è possibile prevedere il dettaglio. Il sistema è così localmente imprevedibile ma globalmente stabile. Tutto ciò accade perchè il sistema sotto esame possiede una struttura forte da una parte mentre dall'altra vive di una serie di legami non lineari fra i vari sottosistemi componenti la sua struttura.
Solo in tempi relativamente recenti, grazie soprattutto a Prigogine con i Sistemi dissipativi sontani dall'equilibrio, comincia ad affermarsi un nuovo paradigma scientifico in cui il fenomeno dell'autoorganizzazione entra a far parte con pieno titolo dei fenomeni fisici ed in cui il caso gioca un ruolo molto più diretto nella evoluzione dei sistemi.
Un impulso non indifferente è pure venuto dalla matematica, con la teoria delle catastrofi, i frattali, il caos deterministico; si sono resi disponibili, infatti, nuovi potenti mezzi di analisi dei sistemi dinamici complessi, oltre che nuovi paradigmi scientifici che dischiudono ampi orizzonti anche nel campo delle scienze sociali. In particolare Ilya Prigogine ha mostrato che i sistemi termodinamici aperti, quando sono lontani dall'equilibrio, possono dare luogo a processi autoorganizzativi per effetto di fluttuazioni casuali, cioè perturbazioni, dello stato del sistema.
Un sistema è inoltre capace non solo di autoorganizzarsi, ma di reagire alle perturbazioni, purchè queste non superino certe soglie. Queste soglie non sono però determinabili a priori, esse dipendono infatti dallo stato in cui si trova il sistema nel momento in cui è soggetto alla perturbazione, ovvero dipendono dalla storia del sistema. Se queste perturbazioni casuali spingono tutte nella stessa direzione allora si ha un effetto sinergico ed una ulteriore destabilizzazione anche di piccola entità, che in altre situazioni sarebbe stata assorbita con facilità, scatena trasformazioni di struttura e organizzazione interna non prevedibili.
Osserva Prigogine: "Il cammino storico lungo il quale il sistema si evolve è caratterizzato da una successione di regioni stabili, in cui dominano leggi deterministiche, e di regioni instabili in cui il sistema può scegliere più di un possibile futuro".Questo miscuglio di caso e necessità costituisce la storia del sistema. Anche gli esseri viventi come le piante, che usano l'energia solare per mantenere la loro struttura, possono essere annoverati fra i sistemi dissipativi e ciò che vale per le piante vale anche per l'uomo per un villaggio una città che si nutrono di neg-entropia sotto forma di: energia, idee, materiali per mantenere la loro complessità-riconoscibilità strutturale.
Abbiamo detto precedentemente che i sistemi dissipativi lontani dall'equilibrio si nutrono di neg-entropia per mantenere la loro struttura ed eventualmente di migliorarla. Questo però non è sufficiente per definire i meccanismi che il sistema utilizza per scegliere fra gli innumerevoli flussi neg-entropici quelli utili e scartare quelli inutili. A questo proposito ci può venire in aiuto introdurre con qualche esempio il concetto di risorsa (valido per tutti i sistemi anche se in alcuni casi con accezioni diverse). E' risorsa l'erba per l'erbivoro, ma non per il carnivoro, che non la riconosce; è risorsa la benzina per un motore d'auto, ma non lo è per un frullatore che riconosce solo l'elettricità.
Il processo di evoluzione è portato nei sistemi in rapida trasformazione, come ad esempio la società umana, attraverso il riconoscimento di nuove risorse che prima non erano riconoscibili. La riconoscibilità delle nuove risorse non è però sufficiente a garantire la futura stabilità strutturale del sistema è necessaria una variazione del sistema organizzativo che permetta al flusso neg-entropico di mantenere o migliorare la struttura.
Fino ad adesso abbiamo parlato di una serie di concetti riguardanti i sistemi dinamici e le loro evoluzioni strutturali determinate dai flussi neg-entropici, ma in che modo entra in gioco la figura dell'architetto e soprattutto quali sono le relazioni esistenti tra l'architettura e i sistemi dinamici fin qui descritti.
Fra i vari tipi di sistemi elencati abbiamo citato anche la città, che senza timore di essere smentiti assume forme diverse in relazione alle complesse interazioni esistenti tra: morfologia del luogo, società e sue modificazioni, eventuali catastrofi (eventi eccezionali) ecc. Queste interazioni connotano la città in modo inequivocabile accentuando sempre di più la riconoscibilità della stessa di fronte alle altre. Per questo Parigi era unica prima del 1889 ma lo è stata ancora di più negli anni successivi in quanto l'evento "catastrofico imprevedibile" causato da Eiffel ha prodotto un miglioramento della struttura nonchè della complessità-riconoscibilità di Parigi.
Questo per quanto riguarda la città ma il discorso non cambia quando invece si prende come esempio l'architettura stessa. L'architetto in questo caso si trova a gestire la complessità non di una città ma di un singolo oggetto architettonico nel quale la sua soggettività delle scelte determina la crescita e la connotazione di una struttura dinamica evolutiva.
Egli opera per essa una serie di scelte dipendenti dal suo retroterra culturale. All'interno di queste scelte ve ne possono essere alcune talmente rivoluzionarie che insieme alle risonanze in atto fra le varie parti del sistema ne fanno un modello unico generato proprio dalla soggettiva scelta dei flussi neg-entropici. Questo procedimento sembra prediligere un rapporto di causalità lineare fra le richieste progettuali, background culturale e scelte. Questo paradigma analitico mal si adatta però ad un procedimento come quello progettuale che invece necessita un approccio diverso.
"L'atteggiamento operativo
alla base di questo approccio è quello di produrra un modello e
confrontarlo con le richieste.
E' un atteggiamento che che deriva direttamente (e necessariamente, in
quanto sono ambedue atteggiamenti operativi che lavorano nel campo della
"scoperta") dall'approccio tipico della ricerca scientifica:
il procedimento descritto da Thomas Khun per la ricerca scientifica. Esso
rimane tutt'oggi il punto di riferimento per un approccio non analitico
come è quello progettuale. E' l'operare per paradigmi indiziari
successivi, e per momenti di continuità (normali) e di discontinuità
(eccezionali)".
(Celestino Soddu - Enrica Colabella "Il Progetto Ambientale di Morfogenesi codici genetici dell'artificiale" Bologna Esculapio 1992 pag 24).
Questo approccio è di semplice comprensione per tutti coloro che sono abituati a leggere le trasformazioni di un progetto in termini di continue iterazioni su se stesso del modello prodotto, mentre per tutti coloro che, (come accennavamo prima) si limitano al soddisfacimento lineare delle richieste del committente e di semplici bisogni formali o culturali questo approccio produrrà un senso di incertezza e vuoto operativo. Il progettare allora diventa, seguendo ciò che fino ad adesso è stato detto, la produzione di un modello che rappresenta tutte le complesse interazioni fra i nostri modelli culturali fortemente soggettivati, le nostre aspirazioni, i nostri desideri.Questo modello viene fatto continuamente evolvere su se stesso caricandolo di richieste, analizzando le risposte formalizzate che cosi producono altre richieste che entrano in gioco ad un più alto livello nel ciclo iterativo successivo.
La forma del modello non deve rispondere alle domande formulate dalle funzioni richieste al progetto, ma deve solamente inglobarle, e le risposte a queste domande sono necessarie ma non strutturanti. La capacità progettuale si basa sull'abilità di scoprire, nell'accrescere e nel considerare tutte le potenzialità delle richieste e delle occasioni che scaturiscono dal progetto. Questo flusso di informazioni viene inserito nel modello, adattato e valutato nel suo impatto. Se viene accettato questo flusso informativo diviene elemento del modello che incrementa così la sua complessità. Non è comunque solo questo il meccanismo di incremento della complessità al quale ubbidiscono i modelli. Essi rispondono a questo meccanismo solo per il periodo necessario al passaggio da uno stato ad un altro. La capacità di crescita della complessità di un modello sta nella sua carica autoorganizzativa continua e attiva rispetto alle condizioni esterne.
I modelli così prodotti dovranno avere una adattività tale da consentire una molteplicità di risposte a domande che ancora non conosciamo e che faranno evolvere il progetto in modo esponenziale rispetto ai pochi dati che conosciamo all'inizio dell'iter progettuale.
Questa adattabilità si può tradurre praticamente nella capacità del paradigma indiziario a cambiare, crescere e a non caratterizzarsi per le proprie specifiche funzioni, che invece per il carattere rigido che le distingue possono generare modelli statici, che difficilmente riescono a sopravvivere alla selezione del tempo e dei cambiamenti che esso porta, ne tantomeno per alcuni segni fortemente categorici. Il piano dei riferimenti al quale rivolgersi, dovrà permettere un continuo e successivo riempimento di contenuti ogni volta che cambia il contesto.
Questo piano, per essere più specifici, potrà essere quello delle funzioni simboliche, del soddisfacimento dei bisogni culturali o di qualunque riferimento, che come le precedenti non comprima l'adattività del modello. In questo discorso pare ovvio il rapporto tra paradigma e funzioni, queste saranno infatti comprese all'interno della forma del modello ma non saranno la radice dello stesso. La capacità di risposta del modello alle richieste funzionali è pertanto requisito essenziale ma non strutturante e la dinamica evolutiva del progetto risente in maniera molto attenuata delle richieste prestazionali, che rappresentano il terreno meno fertile soprattutto se confrontate con l'esplosività e la capacita di crescità delle funzioni estetico-simboliche. Teniamo presente che il campo delle richieste prestazionali oltre che sterile per la crescita di un progetto è anche quello soggetto ad una obsolescenza maggiore nella vita di una architettura.
Un modello, come abbiamo detto precedentemente,
dovrà garantire uno sviluppo per discontinuità in modo da
accrescere le possibilità di un processo autoorganizzativo. Per
giungere a questo può essere necessario passare nell'evoluzione
del progetto da un paradigma ad un altro così da permettere sia
una selezione delle scelte capaci di rispondere ad una molteplicità
di domande non previste. Questo processo stratifica una serie di paradigmi
che a loro volta permettono diverse letture simultanee dello stesso avvenimento.
Questa simultaneità e la selezione evolutiva determinano la complessità
necessaria a rispondere ad imprevedibili domande e situazioni in continua
evoluzione.
Non è semplice definire la qualità anche perchè per definirla bisognerebbe essere in grado anche di oggettivarla e non solo, dovremmo anche essere in grado di costruire un metro di valutazione della qualità, ma oggettivare la qualità e attribuire alla stessa dei valori non è possibile in quanto la costituzione di termini valutativi è chiaramente espressione della soggettività.
I tentativi di oggettivazione della qualità totale non hanno dato i frutti sperati specie quando si sono basati sulla somma di avvenimenti parziali la cui qualità è stata misurata con procedure deterministiche.
Abbiamo fatto evolvere le nostre città con procedimenti che tendevano a stabilire "quanta qualità" fosse necessaria in un luogo piuttosto che in un altro, ora ogni parte delle nostre città tende a raggiungere i parametri che abbiamo preso come indicatori della qualità ma ci siamo anche accorti che questo non è stato sufficiente a rendere "desiderabile" il risultato ottenuto.
Gli uomini quando si pongono di
fronte ad un problema che implica delle scelte non agisce in modo analitico,
ma immagina vari scenari possibili e si muove per raggiungere quello più
desiderabile.
Questo non implica che il progettista sia un semplice sognatore di mondi
virtuali, il progettista usa le prestazioni richieste come prova della
validità dell'approccio progettuale e compara il virtuale al reale
progettato e valuta quanto sia accettabile questo e quanto ad esso sia
preferibile il virtuale.
Lo sviluppo del mondo virtuale rispetto a quello reale è dinamica e tesa all'ampliamento delle potenzialità tanto da generare sempre una differenza in termini di qualità tra il mondo del reale progettato (di valore inferiore) e quello virtuale "sognato" (di valore superiore). Il raggiungimento di una idea del luogo fa nascere la necessità di una forma, ma quale? Quanto è necessaria una particolare forma per raggiungere la qualità desiderata?
Spesso di fronte ad uno specifico problema ci troviamo nella situazione di reputare ugualmente adatte varie forme, ciò può ricondurre a mancanze del progettista o viceversa può voler dire che le forme sono realmente intercambiabili.
L'intercambiabilità delle forme rende di fatto non necessarie le stesse ai fini del raggiungimento della qualità cercata. Evidentemente forme diverse portano a risultati diversi ma questa è una differenza esclusivamente formale ciò che più importa è che la logica compositiva rimane invariata.
L'approccio deterministico al progetto al contrario è quantomai fuorviante, i rapporti causa/effetto non strutturano la forma ma la giustificano solamente a posteriori non è pensabile infatti che un dominio così ristretto (richieste) possa comprenderne un'altro molto più grande (forma/dominio delle funzioni simboliche) e strutturarlo.
Di fronte ad un progetto, pur avendo un preciso obiettivo da raggiungere, in termini di qualità, il peso delle richieste non formalizzate è così opprimente da incutere timore. Questo timore rimarrà tale fino a quando il sistema complesso delle richieste non si incanalerà in una procedura dinamica che tenda a sfociare in una formalizzazione.
Controllare questa procedura è l'atto tipico del progettare e non è identificabile con la forma che ne deriva. La logica progettuale è il marchio caratteristico di ogni singolo progettista, lo identifica inequivocabilmente gestisce i processi di morfogenesi ma non è in grado di portare il sistema progettuale dall'equilibrio del foglio bianco al disequilibrio di un processo di trasformazione.
In un ambiente in quiete, come abbiamo precedentemente detto, è possibile scatenare catastrofi tramite l'introduzione di particolari "eventi" che innescano grazie alle sinergie attivate processi di trasformazione della materia. Se prendiamo in prestito dalla termodinamica le regole che innescano questi processi di trasformazione possiamo teorizzare la necessità di un catalizzatore anche per l'innesco del progetto da controllare poi attraverso l'utilizzo delle logiche progettuali. Ciò di cui abbiamo bisogno è comunque un catalizzatore non chimico bensì formale, questo può essere qualunque occasione sufficientemente allusiva da consentire al ciclo iterativo delle richieste e delle risposte formalizzate di strutturarsi e svilupparsi fino a raggiungere la complessità desiderata. Una volta completato il suo compito,il catalizzatore utilizzato può dissolversi, crittografarsi all'interno del progetto o più semplicemente sparire perchè non utile al progetto l'importante è che esso abbia avviato la "reazione".
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