INTRODUZIONE

L’uomo è uno dei “frutti” derivati delle meravigliose leggi che governano il mondo della natura. L’uomo è anche, col suo operare, il responsabile della creazione di un ambiente artificiale fatto di manufatti di vario genere. Se dalla natura scaturisce l’uomo e dall’uomo scaturisce il mondo artificiale, è possibile che il cerchi si chiuda? É possibile che dall’agire umano si verifichi un ambiente naturale?
Il problema, di primo acchito, potrebbe sembrare inesistente in quanto la cultura tradizionale ci ha proposto i termini naturale ed artificiale come antagonisti, come il bianco è opposto al nero ed il buio alla luce, quindi non paragonabili se non in contrapposizione.
Quello che sarebbe interessante fare è intraprendere un viaggio all’interno delle manifestazioni dell’artificiale, senza dimenticare del tutto che l’artificio è anche natura, intendendo artificio come «fatto fittiziamente ad arte».
Il nostro habitat è stato abbondantemente trasformato dall’avvento della macchina, il che ha prodotto una eclatante diversificazione delle condizioni di equilibrio tra uomo e natura; per riscattare la situazione attuale, e fare in modo che il naturale abbia una rivincita sull’artefatto, dobbiamo trasformare eventi artificiali in eventi naturali, attraverso un’azione di volontà e conoscenza. Questo sempre di più in quanto la meccanizzazione ha invaso e si presuppone invaderà ulteriormente molte di quelle strutture fino a ieri libere dalla sua ingerenza.
Viviamo oggi in un era storica di anti-naturalità, fatta di meccanizzazione e computerizzazione, che ha staccato i legami alla natura che rendevano l’uomo “umano”. L’essere umano ha ampliato le proprie possibilità fisiche all’inverosimile rendendo la propria essenza quasi mostruosa; alza pesi incommensurabili, viaggia a velocità assurde, pensa aiutato da minuscole cittadelle di silicio. Dipenderà da noi saper riconvertire in natura questi elementi artificiosi, in modo da poter sopravvivere in un mondo non del tutto disumanizzato.
Io contrasto tra oggetto e natura, e quindi indirettamente tra naturale e artificiale, ha avuto il suo massimo punto di manifestazione all’inizio del nostro secolo, quando l’oggetto di fabbricazione artigianale ha iniziato ad essere rimpiazzato da quello industriale. Nello stesso lasso di tempo anche l’architettura è diventata palesemente anti-naturale, e tutto ciò si è verificato sotto i nostri occhi, senza quasi che ce ne accorgessimo.
“Ne segue che al momento attuale siamo portati a vivere sempre più avvolti da un ambiente artificiale, da oggetti artificiali e da una stessa natura artificializzata. Gli esempi sono così facili e molteplici che non merita conto elencarli: dall’alterazione della natura paesaggistica causata dagli insediamenti moderni, al turismo come falsificazione del viaggio di scoperta della natura; dalla falsificazione della vegetazione a quella dei materiali costitutivi della maggior parte degli artefatti, sempre più appartenenti al mondo delle «materie plastiche» o ad altri materiali sintetici. Da tutto ciò deriva uno dei maggiori pericoli per la civiltà attuale; quello di vedere sempre di più resi del tutto artificiali i fenomeni naturali”.
Personalmente ritengo che una possibilità, per altro altamente discutibile, per uscire da questo atteggiamento vittimistico di comprensione degli eventi, sia quella di accettare tutto ciò che viene considerato artificiale come naturale, in virtù del fatto che l’origine dell’oggetto in questione è naturale; per composizione e ideazione umana. Si tratta di considerare natura non più solo ciò che appare come natura allo stato selvaggio, ma anche quanto appare sotto un aspetto meccanizzato ed artificiale; i manufatti umani in genere, insomma, devono essere naturalizzati.
Tutto ciò dovrebbe avvenire perché sin dalla notte dei tempi l’uomo ha sentito la necessità di produrre oggetti di ogni specie, da quello artistico a quello con puramente funzionale. Ma anche perché oggigiorno l’uomo vive in un mondo in cui l’importanza dell’oggetto in sé è stata, per varie ragioni che esulano dai nostri interessi, estremizzata ed in alcuni casi oserei dire divinizzata, quasi fossero essi stessi la vera natura. D’altronde l’operazione di “oggettizzazione” dell’uomo è avvenuta e avviene tutt’oggi senza che ce ne rendiamo conto. Basti pensare ad una grotta naturale, usata nell’antichità come un’abitazione o ad una semplice pietra usata come arma nelle guerre tribali. Come consideriamo la grotta, natura o oggetto artificiale? La pietra è naturale o un oggetto contundente?
Lo stesso discorso si potrebbe fare per qualsiasi oggetto moderno: il mattone è argilla o oggetto? La lana è fibra naturale o maglione? Il silicio è sabbia o microchip?
L’uomo, dunque, nel corso dei secoli, ha esteso il proprio dominio sulla natura mediante alcune tecniche che si sono evolute insieme a lui; questo è ciò che è avvenuto anche nel campo dello scibile umano che maggiormente ci interessa in questo istante, ossia l’architettura.
Ma quali sono i risultati dell’attività antropica secolare in architettura? I pareri sono discordanti ma se consideriamo in particolare quello di Adolf Loos, vediamo che egli considera negativamente ciò che è stato esperito negli ultimi decenni, ad eccezione delle case coloniche alpine, caratteristiche per la loro naturalità, al contrario di tanti voluminosi e fastidiosi volumi di calcestruzzo. La differenza tra questi due tipi di edificio è essenzialmente una, nella casa colonica in generale (tirolese, trullo, o altro), si è integrato l’oggetto con la natura; si è assistito ad un divenire-naturale del prodotto creato dall’uomo attraverso la macchina.
«Io credo» afferma Gregotti «che non sia la capanna, la tenda, la caverna... ma il riconoscimento del terreno a costituire, in un certo senso, il primo atto dell’architettura. Non il fatto di porre una pietra sull’altra, ma di porre la pietra sul terreno, così da istituire il segno della presenza, della scoperta e dell’identità del luogo.»

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