Dario Ferracin e Andrea Resmini - lo spazio sacro

morfogenesi

Progettare è costruire un modello.

Ma si tratta di un modello particolare, di qualcosa che è anche proiezione di sé. E' tracciare sull'esistente un modello di sviluppo possibile, dando forma ai propri pensieri e desideri, è essenzialmente un processo che consente di dare criterio di scientificità al proprio progettare. Questa strada di ricerca e sperimentazione passa attraverso la ridefinizione dei termini e delle logiche , delle fasi, degli obiettivi del progetto stesso, per produrre una procedura scientifica, e quindi falsificabile , in cui i legami in atto, le operazioni deduttive tra richieste e forme, seguono necessariamente il progetto.
Si tratta di uscire da un quadro, quello del progetto "tradizionale" , cercando di non emergere in un altro più grande, con pochi colori e forse senza pennelli .

Lo scarto, il mutamento paradigmatico, sta nella riconosciuta, inevitabile ed addirittura desiderabile soggettività inziale del progetto, nel metaprogetto che diviene progetto di specie.

Il progetto è segno, gesto, traccia, anche ghirigoro sul foglio bianco, ed è processo, evoluzione, schema, oggettivazione dell'idea originaria. Per riuscire ad anticipare le richieste inespresse ed i mutamenti di contesto, il progetto viene costruito come progetto di una morfogenesi, delle evoluzioni possibili della forma.

Il problema rilevante è ancora il dominio della complessità e della casualità nell'ambito del progetto. La ricerca morfogenetica introduce come strumento di controllo l'oralità secondaria dell'informatica, le sue ridondanze ed assonanze, le sue procedure-codice software a cicli e loops , e questa logica apporta un tipo di verifica sconosciuta al progetto tradizionale: un tempo del progetto che traccia il carattere di infinite e possibili storie parallele Come nota C. Soddu, il linguaggio a cui siamo abituati tende costantemente a riproporre il segno di uguaglianza . L'approccio che definiamo tradizionale è sostanzialmente tanto più preciso quanto più vi è corrispondenza tra la parola che descrive e il fenomeno che viene descritto. Quello che ne discende è un ovvio stato di equilibrio, ed un linguaggio che rende difficoltoso cogliere quei processi di variazione qualitativa che vengono identificati come processi di morfogenesi, trasformativi.

Lo studio si fa simulazione di un ordine dinamico che cresce e si alimenta nel disequilibrio, caotico ed imprevedibile ma identificabile nel suo slittare verso la complessità, nel quale il cambiamento principale si evidenzia propriamente nella lingua parlata dal progetto e nella sua logica strutturante. Il problema principale è quindi operativo: non è pensabile di rispondere a domande non formulate e non presenti all'inizio dell'iter progettuale considerandole implicite od individuabili nello stato di fatto, come se questo fosse un momento di pura analisi svincolato da ogni limitazione contingente e non già un passo nel farsi del processo.

Un albero tridimensionale realizzato con il programma lParser che utilizza formule frattali per la costruzione di forme organiche.
E' possibile visualizzare una immagine piu' grande della schermata del programma.

Progettando un edificio è difficile dedurne univocamente le forme o le logiche aggregative dalle funzioni che vengono richieste o che l'organismo dovrà soddisfare. Innanzitutto per la complessità del leggere l'ambiente circostante, ed in secondo luogo perchè l'attribuzione di forme e l'utilizzo di determinati codici visivi dipende strettamente dalla soggettività del singolo, ed è culturale, emozionale, onirica. Il nostro stesso fare diviene motore del processo, innescando ulteriori richieste e formalizzazioni delle quali dobbiamo divenire coscienti per poterle guidare. E tutto questo, richieste in primo e in secondo ciclo, è solo una parte di ciò che l'architettura realizzata dovrà soddisfare al cambiare del contesto: l'ambiente di riferimento evolve la sua immagine e la sua identità, l'utilizzazione e l'utilizzatore, l'intero contesto culturale, storico e funzionale si evolvono secondo linee non prevedibili ed inattese. L'instabilità è l'anima del processo.

Il reale va affrontato con strumenti che lavorino direttamente sulla trasformazione stessa, con procedure di sviluppo, ovvero con algoritmi che consentano di definire un mutamento e un ambito temporale in cui questo avviene.

Il progetto è progetto della dinamica evolutiva dell'idea formale, attuato con sistemi a sviluppo non prevedibile che simulano una specifica logica progettuale, in cui il tempo è in diretta relazione con la crescita/modifica dell'evento, ed in cui ciò che determina la qualità ed il tipo di rapporto sono gli algoritmi evolutivi.

Una volta individuate, questa possibilità di operare ed il tipo di controllo che esse consentono sulla complessità del progetto divengono necessarie. In modo non dissimile da quanto avviene nel campo di discipline quali la chimica e la fisica, si opera nell'ambito dell'architettura lo studio morfogenetico dei processi naturali ed artificiali. Il cambio di prospettiva è ampio: studiando la dinamica evolutiva stessa dell'idea formale mediante sistemi a sviluppo non prevedibile ci si porta idealmente nel divenire stesso del progetto.

All'oggetto di progetto viene concesso di oscillare, mutare, avanzare, muovere lungo i momenti di una specifica idea progettante, che è il solo motore del sistema, assumendo tutte le forme possibili che quell'ambiente, edificio, oggetto di design, riesce a mutuare conservando identità compositiva strutturale e funzionale; quegli elementi che Soddu definisce, con un richiamo ad Habermas, post-metafisici.

E' un tipo di esperienza osservabile già nell'ambito delle avanguardie storiche, con una chiara formalizzazione nel Cubismo .

Non era peraltro, come nota C. Soddu , un tipo di operazione inedita, essendo la contemporaneità o la multitemporalità degli avvenimenti nel dipinto un topos presente ripetutamente nella storia dell'arte. La novità, come sempre, sta nel come questa viene vista ed utilizzata.

Naturale ed artificiale

Il progetto di morfogenesi è quindi una logica strutturante, controllo delle trasformazioni possibili della forma, che produce individui simili, non identici.
Sapremmo distinguere un pino ed un ulivo con certezza, così come, con maggiore attenzione, saremmo in grado di valutare che il pino A differisce dal pino B. E' più alto, più vecchio, più verde, non è ovviamente un ulivo.

Riusciamo cioè a discriminare tra il progetto di specie e l'evento virtuale, dove il primo è l'idea progettante post-metafisica, vero codice genetico dell'artificiale, ed il secondo la singola riconoscibile concretizzazione della specie, sia questa pino, ulivo od anche villa unifamiliare. E riusciamo ad operare distinzioni tra eventi diversi prodotti dalle medesime procedure.

Non ci sono quindi distinzioni tra progetto del naturale e progetto dell'artificiale? Non dal punto di vista operativo del processo logico portante: le differenze sono più quantitative che qualitative, e ci obbligano ad una breve digressione sulle omotetie e la matematica del caos. Da quando Benoit Mandelbrot sostenne in un suo famoso scritto che la lunghezza della costa britannica dipendeva unicamente dalla scala a cui venivano prese le misure, aumentando man mano che ogni sasso, ogni granello di sabbia veniva preso in considerazione nel profilo, la matematica dei frattali ha suscitato oltre che una notevole curiosità un certo sommovimento scientifico.

Il fatto è che la strada aperta da Mandelbrot ha permesso di interpretare matematicamente fenomeni prima semplicemente considerati portatori di comportamenti caotici quali la crescita delle piante, la composizione dei cristalli di neve o i moti dei fluidi, mostrando tra l'altro come forme o reazioni estremamente complesse siano il risultato di operazioni semplici ripetute omoteticamente migliaia o milioni di volte o di effetti imprevedibili di risonanza tra i cicli . Strutturalmente la differenza è tutta qui. Non conta che l'artificiale si evolva per scelte che definiamo soggettive ed il naturale attraverso scelte casuali : entrambe le procedure generano un cambiamento, qualunque esso sia, che entra come input nei cicli successivi. Variano sostanzialmente i tempi di attuazione, non la logica: un oggetto di design come una sedia evolverà verso la complessità diversamente da una città, e questa avrà un'evoluzione perlomeno dissimile da quella di una specie naturale.

Quindi: nell'artificiale il processo/progetto di specie tende a ridurre il numero dei cicli e ad aumentarne parallelamente la complessità, con apporti multidisciplinari, con vari gradi di controllo, mentre nel naturale i cicli di formalizzazione sono spesso elementari ma ripetuti per tempi più lunghi .

Modelli tridimensionali di morfogenesi


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Last updated on February 25th 1997