PREMESSA

 

"Orazio diceva che non è cambiando cielo che si cambia animo. Ma quando il cielo sovrasta terre dimenticate da Dio e dalla storia, allora anche l’anima prova qualche sussulto. Certo se il viaggio è una confezione d’agenzia, allora, anche se la sua meta sono i confini del mondo, non c’è spaesamento che percorra l’anima come un brivido che la rende instabile. Ma quando viaggiare è offrirsi al rischio di non essere compresi, e, al limite, neppure letti come uomini o come simili, allora è la terra a offrirsi senza nessun orizzonte, e il cielo a coprire una vastità senza riferimento, e la storia a inabissarsi nei secoli per evocare tutta quell’immaginazione che mai avremmo sospettato avesse riscontri di realtà" (U. Galimberti, Parole nomadi, Feltrinelli, 1994, p.219).

Viaggiare è un’esperienza che ha in sé qualcosa di magico.

Prima di intraprendere un viaggio ci creiamo delle aspettative, nutriamo delle speranze, probabilmente per cercare di esorcizzare quel sottile brivido che ci coglie quando ci avventuriamo in direzione dell’ignoto. Talvolta decidiamo di fare un viaggio quando ci sentiamo stanchi della realtà quotidiana: allora veniamo assaliti da un bisogno di novità, di nuove sensazioni, di nuovi luoghi, di una nuova vita...

Durante il viaggio ci immergiamo in una realtà sconosciuta, che muta continuamente... e noi con lei. Non ci è più sufficiente fare appello all’esperienza, siamo chiamati a costruire nuovi codici interpretativi, a cercare risposte nuove a nuovi interrogativi. Tutta la nostra essenza è chiamata a collaborare in questa ricerca che, man mano che avanza, si fa memoria, ricordo...

A noi preme soprattutto sottolineare l’importanza del viaggio come indagine, che "facendoci uscire dall’abituale e quindi dalle nostre abitudini, ci espone all’insolito" (U. Galimberti, op. cit., p.220), e ci trova impegnati in un processo di scoperta. Questa scoperta, che noi viviamo in quanto viaggiatori, è frutto della interazione fra il nostro bagaglio di esperienze pregresse e riferimenti socioculturali e le nostre personali attitudini e preferenze, non ultime quelle derivanti da pulsioni di origine subconscia ed istintuale. Ognuno di noi vede e sente a suo modo, possiede una propria capacità di servirsi dei sensi. Questo ci porta a seguire dei percorsi di scoperta strettamente individuali, attraverso i quali perveniamo ad una consapevolezza che possiamo tentare di comunicare, ma che difficilmente riusciremo a condividere del tutto con qualcun altro.

Il viaggio quindi come esperienza soggettiva.

Ma non solo. Il retroterra specifico di ognuno di noi esercita una funzione di filtro rispetto alla totalità delle implicazioni e dei significati connessi all’esperienza del viaggio: operiamo delle scelte, privilegiamo determinati aspetti e releghiamo in secondo piano altri, ritenuti secondari, non fondamentali.

Al termine di questo processo di de-costruzione della realtà indagata, il "puzzle" risulta impossibile da ricomporre. Ciò che si presenta alla nostra vista e nella nostra mente non è l’unico aspetto e il solo significato della realtà, bensì un modello che noi ci siamo creati. A questo modello se ne possono aggiungere infiniti, creati da noi in successivi viaggi , oppure creati da altri.

Ciò potrà arricchire la nostra conoscenza sul luogo oggetto del nostro viaggio, ma non restituirà mai comunque il luogo, che permarrà fisso nella sua inconoscibile oggettività.

 

PIRANESI E SANT’ELIA: POETICHE DELLA SCOPERTA

 

"Storicamente il disegno è sempre stato un momento di conoscenza e di riflessione, ma soprattutto un momento di intuizione sintetica degli eventi, e delle possibili relazioni sottese. Il disegno è comunemente utilizzato come strumento di rappresentazione e comunicazione di un’idea o di un evento esistente/ipotizzato. Ma l’aspetto rappresentativo non è che una delle potenzialità del disegno. L’aspetto più sorprendente si esplicita nel lavoro di scoperta, quando si operano delle rappresentazioni, si attuano dei modelli allo scopo di riflettere sul possibile. E’ qui che viene messa a frutto la potenzialità che il disegnare possiede nell’approccio simultaneo alle diverse sfaccettature, ai differenti codici di lettura, analisi e controllo che sono possibili all’interno di un evento complesso".

Così Celestino Soddu ed Enrica Colabella (Il progetto ambientale di morfogenesi, Progetto Leonardo, Bologna, 1992, p.163) sottolineano l’importanza del disegno come strumento di rappresentazione e di controllo della forma e delle sue trasformazioni.

Il disegno prospettico, in particolare, permette di rappresentare un evento spaziale - architettonico e non - attraverso una serie di regole codificate all’inizio del XV secolo, che seguono i principi dell’ottica e della geometria proiettiva.

Il risultato complessivo che si ottiene mediante questa tecnica di rappresentazione è assai accattivante, in quanto produce un effetto di verosimiglianza, basato sulla simulazione del fenomeno della visione umana.

Ma poco o nulla dice - e può dire - di quelle che sono le dinamiche evolutive del progetto, della sua dimensione temporale, nonché della totalità e complessità dell’evento raffigurato - nel nostro caso architettonico.

Uno è il punto di vista, uno è l’osservatore, ed il tutto è fissato in un istante immobile.

Gli "schizzi" prospettici, ossia quelle rappresentazioni che intendono simulare la tridimensionalità e riprodurre un evento architettonico quale lo potrebbe cogliere un referente umano, invece, tendono a superare questa limitazione, amplificando la complessità e l’ambiguità dell’idea spaziale. In altre parole raccontano di più.

Anzitutto in quanto non si pongono come semplici rappresentazioni di un evento spaziale, costruito o progettato, bensì sono la registrazione di un atto creativo, carico di valenze istintuali, che l’autore ha compiuto riflettendo attorno ad una propria idea di spazio. E questo atto creativo può realizzarsi in un unico gesto istantaneo, che ordina e relaziona le varie parti simultaneamente, oppure in una successione di gesti realizzati in tempi diversi, che lasciano presupporre possibili dinamiche evolutive ed alludono ad una trasformazione temporale dello spazio.

Secondariamente perché non hanno la precisione e la rigorosità scientifica dei disegni prospettici realizzati mediante gli strumenti del disegno. I vari piani che strutturano l’evento architettonico spesso non sono individuati da un unico tratto, ma da più linee prossime tra loro; gli oggetti che lo compongono si prestano così a diverse letture sia stereometriche che spaziali.

Si apre la strada ad una serie di interpretazioni soggettive, che forniscono risposte più o meno plausibili sull’organizzazione spaziale dell’immagine raffigurata.

Il ruolo della soggettività nell’interpretare un’immagine bidimensionale allusiva di un evento tridimensionale diviene ancora più fondativo quando ci accingiamo a ricostruirne un modello tridimensionale.

"Piranesi e Sant’Elia: poetiche della scoperta" è il racconto/resoconto di un viaggio compiuto nella direzione anzidetta; un viaggio che, a partire dagli esiti finali del processo creativo dei due artisti, ne ha ipotizzato alcune delle possibili dinamiche evolutive. Ciò si è realizzato mediante una procedura - prima manuale, poi computerizzata - che ci ha permesso, intervenendo attivamente sull’evento spaziale di volta in volta oggetto di studio, di controllare l’evolversi e il dipanarsi delle possibili sfaccettature di senso, attraverso una successione di risposte soggettive ai problemi contingenti continuamente affioranti.

Spesso ci si è trovati di fronte a diverse opzioni, tutte egualmente percorribili, che avrebbero portato alla costruzione finale di modelli diversi. Ed ogni volta - dopo avere esaminato la portata delle varie opzioni - si è proceduto ad una scelta, frutto di percorsi mentali volti a privilegiare talora la razionalità, talora il gusto personale, talora l’istinto e la casualità.

Non è difficile comprendere a questo punto che l’operazione compiuta costituisce, a tutti gli effetti, un progetto, in quanto ne ha poste in essere le componenti fondamentali.

Questa lettura interpretativa, infatti, "risponde, progettualmente, alla richiesta esplicitata nel segno formale presente nel disegno. E’ un’operazione che realizza uno degli obiettivi propri dell’artista: riuscire a far recepire a pieno i propri segni come esplicite richieste concettuali. Ed è anche un’occasione estremamente affascinante per l’architetto, che si trova finalmente un committente" - Piranesi o Sant’Elia nella fattispecie - "allo stesso tempo stimolante e pertinente, capace di far giocare le sue richieste direttamente sul piano della crescita dell’idea formale, dell’immagine architettonica"(C. Soddu, E. Colabella, op. cit., p.172; C. Soddu, L'immagine non euclidea, Gangemi, Roma, 1987, p.11 e segg.).

Se iterassimo l’intero processo infinite volte, è chiaro che giungeremmo alla realizzazione di infiniti modelli tridimensionali, aventi le stesse caratteristiche del disegno bidimensionale di partenza, ma differenti fra loro in virtù delle diverse scelte operate durante il processo di ricostruzione di ognuno di essi - in particolare nella dislocazione spaziale e nella stereometria degli elementi che lo compongono. E tutti questi oggetti-modelli tridimensionali, "figli" dello stesso disegno bidimensionale, costituirebbero una "specie" di eventi spaziali.

Questo viaggio del possibile, compiuto all’interno di due disegni/schizzi di Piranesi e Sant’Elia, si è sviluppato secondo distinti percorsi di scoperta, le cui poetiche sono legate a doppio filo con le metodiche messe in campo e con gli eventi spaziali indagati. Questi percorsi di scoperta - relativi alle scelte intraprese per superare le incongruenze, le contraddizioni, e i bivi di senso incontrati durante l’evolversi di tale esperienza - sono stati condensati in due scritti a sé stanti, che possono essere considerati come veri e propri diari di viaggio.

La scelta di Piranesi e di Sant’Elia è motivata principalmente da un nostro personale interesse verso la loro opera. Il loro accostamento è puramente strumentale al tipo di sperimentazione condotta, che non ha alcun intento filologico, né vuole paragonare gli esiti raggiunti dai loro "schizzi prospettici" per stilare giudizi di merito circa una presunta superiorità dell’uno o dell’altro come artista creatore di forme architettoniche.

Non esiste, all’interno del lavoro condotto, un percorso che partendo da Piranesi, voglia in qualche modo giungere a Sant’Elia o viceversa. C’è Piranesi, c’è Sant’Elia, in un viaggio condotto con gli stessi strumenti operativi e che si attua secondo analoghe modalità.

È vero piuttosto che i disegni di Piranesi (ed i Capricci e le Carceri in particolare) e quelli di Sant’Elia (esclusi i pochi progetti completi e forse le tavole della Città Nuova) sono preferibili ad altri perché presentano un margine più elevato di indagabilità. I nostri autori seguono le regole prospettiche, ma non ne sono schiavi.

Gli eventi spaziali rappresentati portano su di sé il marchio della temporalità propria del fare progettuale, che conduce ad un inevitabile incremento della complessità. Questo incremento non porta semplicemente o soltanto ad un aumento delle forme e degli oggetti presenti nel disegno; spesso concorre a generare aspetti contraddittori ed ambigui, quando non delle vere e proprie situazioni assurde (alla Escher).

Questa caratteristica del disegno come progetto strutturato in eventi tra loro distanti sia spazialmente, che temporalmente è rilevabile in modo particolare nelle incisioni di Piranesi. Ciò sia all’interno della stessa tavola (ad esempio in quei casi in cui l’aggiunta di nuovi particolari non porta l’autore a modificare le ombreggiature preesistenti), sia, soprattutto, osservando le mutazioni delle forme architettoniche nel passaggio dal primo al secondo stato di una data incisione.

I disegni di Sant’Elia, invece, sono quasi certamente frutto di un processo creativo istantaneo. Alludono ad un movimento dell’osservatore - che in ultima analisi è lo stesso Sant’Elia - all’interno dello spazio raffigurato; e il dato del movimento, unito a quello della velocità del tratto, testimoniano in un certo senso l’aderenza di Sant’Elia alla poetica del futurismo.

Ciò che avvicina maggiormente Piranesi a Sant’Elia è la carica utopistica, onirica e visionaria che permea le loro opere.

Per il resto, Piranesi pare interessato alla realizzazione di un’idea complessa di spazio; c’è una forte carica suggestiva, un senso di mistero nelle costruzioni che riportano alla Roma antica. Egli vuol generare impressioni nell’osservatore, e riempie i disegni di particolari che si perdono in lontananza. Le strutture si disarticolano nello spazio, in tutte le direzioni, dando all’insieme un carattere di incompiutezza.

Gli edifici disegnati da Sant’Elia, invece, sono quasi sempre visibili nella loro totalità, oggetti isolati in uno spazio deserto.

Le diverse scelte dei due artisti riguardo al posizionamento dell’osservatore suggeriscono una possibile chiave di lettura degli obiettivi da loro perseguiti.

L’osservatore piranesiano è situato il più delle volte in corrispondenza dei livelli inferiori delle carceri, con lo sguardo rivolto verso l’alto, e questa scelta accentua l’aspetto severo e monumentale delle architetture. Noi, in quanto spettatori, veniamo coinvolti emotivamente a partecipare alle sofferenze dei carcerati; finiamo per condividerne il triste destino.

Sant’Elia invece preferisce rappresentare le architetture secondo un punto di vista elevato, come in una prospettiva a volo d’uccello. C’è maggiore distacco; i disegni paiono pensati in vista di una ipotetica committenza, più che per un semplice spettatore.