Laboratorio di disegno industriale e ambientale IV
Prof. C. Soddu - Prof.ssa E. Colabella


Giorgio Agamben

Il volto

da "Mezzi senza fine - note sulla politica"

Tutti gli esseri viventi sono nell'aperto, si manifestano e splendono nell'apparenza. Ma solo l' uomo vuole appropriarsi di quest' apertura, afferrare la propria apparenza, il proprio essere manifesto. Il linguaggio e' questa appropriazione, che trasforma la natura in volto. Per questo l'apparenza diventa per l'uomo un problema, il luogo di una lotta per la verita'.

Il volto e' l' essere irreparabilmente esposto dell'uomo e, insieme, il suo restare nascosto proprio in quest' apertura. E il volto e' il solo luogo della comunita', l'unica citta' possibile. poiche' cio' che, in ogni singolo, apre al politico, e' la tragicommedia della verita' in cui egli cade gia' sempre e di cui deve venire a capo.

Cio' che il volto espone e rivela non e' qualcosa che possa essere formulato in questa o quella proposizione significante e non e' neppure un segreto destinato a restare per sempre incomunicabile. La rivelazione del volto e' rivelazione del linguaggio stesso. Essa non ha, percio', alcun contenuto reale, non dice il vero su questo o quello stato d'animo o di fatto, su questo o quell' aspetto dell'uomo o del mondo: e' soltanto apertura, soltanto comunicabilita'. Camminare nella luce del volto significa essere questa apertura, patirla.

Cosi' il volto e', innanzitutto, passione della rivelazione, passione del linguaggio. La natura acquista un volto nel punto in cui si sente rivelata dal linguaggio. E, nel volto, il suo essere esposta e tradita dalla parola, il suo velarsi nell'impossibilita' di avere un segreto, affiora come castita' o turbamento, sfrontatezza o pudore.

Il volto non coincide col viso. Dovunque qualcosa giunge all'esposizione e tenta di afferrare il proprio essere esposto, dovunque un essere che appare sprofonda nell'apparenza e deve venirne a capo, si ha un volto. (Cosi' l'arte puo' dare un volto anche a un oggetto inanimato, a una natura morta; e per questo le streghe che gli inquisitori accusavano di baciare nel Sabba l'ano di Satana, rispondevano che anche la' vi era un volto. Ed e' possibile oggi che tutta la terra, trasformata in deserto dalla cieca volonta' degli uomini, divenga un unico volto).

Io guardo qualcuno negli occhi: questi si abbassano e' il pudore, che e' pudore del vuoto che c'e' dietro lo sguardo, oppure mi guardano a loro volta. E guardarmi essi possono sfrontatamente, esibendo illoro vuoto come se vi fosse dietro un altro occhio abissale che conosce quel vuoto e lo usa come un nascondiglio impenetrabile; oppure con una spudoratezza casta e senza riserve, lasciando che nel vuoto dei nostri sguardi avvengano amore e parola.

L'esposizione e' il luogo della politica. Se non vi e', forse, una politica animale, cio' e' soltanto perche' gli animali, che sono gia' sempre nell'aperto, non cercano di appropriarsi della loro esposizione, dimorano semplicemente in essa senza curarsene. Per questo essi non s'interessano agli specchi, all'immagine in quanto immagine. L'uomo, invece, volendo riconoscersi cioe' appropriarsi della sua stessa apparenza, separa le immagini dalle cose, da' loro un nome.

Nelle fotografie pornografiche, capita sempre piu' spesso che i soggetti ritratti guardino, con un calcolato stratagemma, verso l' obiettivo, esibendo cosi' la coscienza di essere esposti allo sguardo. Questo gesto inatteso smentisce violentemente la finzione implicita nel consumo di tali immagini, secondo cui chi le guarda sorprende, non visto, gli attori: questi, sfidandone consapevolmente lo sguardo, obbligano il voyeur a guardarli negli occhi. In quell' attimo, la natura insostanziale del volto umano emerge di colpo alla luce. Che gli attori guardino nell' obiettivo, significa che essi mostrano di star simulando; e, tuttavia, paradossalmente, proprio nella misura in cui esibiscono la falsificazione, essi appaiono piu' veri. Lo stesso procedimento si e' oggi esteso alla pubblicita': l'immagine appare piu' convincente se mostra apertamente la propria finzione. In entrambi i casi, chi guarda si urta senza volerlo a qualcosa che concerne inequivocabilmente l' essenza del volto, la struttura stessa della verita'.

Chiamiamo tragicommedia dell' apparenza il fatto che il volto scopre proprio e soltanto in quanto nasconde e nasconde nella misura stessa in cui scopre. In questo modo, l' apparenza che dovrebbe manifestarlo diventa, per l'uomo, parvenza che lo tradisce e in cui egli non puo' piu' riconoscersi. Proprio perche' il volto e' soltanto il luogo della verita', esso e' immediatamente anche il luogo di una simulazione e di un'improprieta' irriducibile. Cio' non significa che l' apparenza dissimuli cio' che scopre facendolo apparire quale non e' veramente: piuttosto quel che l'uomo e' veramente non e' nient'altro che questa dissimulazione e quest'inquietudine nell' apparenza. Poiche' l'uomo non e' ne' ha da essere alcuna essenza o natura ne' alcun destino specifico, la sua condizione e' la piu' vuota e la piu' insostanziale: la verita'. Cio' che resta nascosto non e', per lui, qualcosa dietrol'apparenza, mal'apparire stesso, il suo non essere altro che volto. Portare aU'apparenza la stessa apparenza e' il compito della politica.

La verita', il volto, l' esposizione sono oggi oggetto di una guerra civile planetaria, il cui campo di battaglia e' l'intera vita sociale, le cui truppe d'assalto sono i media, le cui vIttime tutti i popoli della terra. Politici, mediocrati e pubblicitari hanno compreso il carattere insostanziale del volto e della comunita' che esso apre e lo trasformano in un segreto miserabile di cui si tratta di assicurarsi a ogni costo il controllo. Il potere degli Stati non e' piu' fondato oggi sul monopolio dell'uso legittimo della violenza (che essi dividono sempre piu' di buon grado con altre organizzazioni non sovrane, ONU, organizzazioni terroristiche), ma innanzitutto sul controllo dell' apparenza (della doxa). Il costituirsi della politica in una sfera autonoma va di pari passo alla separazione del volto in un mondo spettacolare, in cui la comunicazione umana e' divisa da se stessa. L'esposizione si trasforma cosi' in un valore, che si accumula attraverso le immagini e i media e sulla cui gestione veglia gelosamente una nuova classe di burocrati.

Se gli uomini avessero da comunicarsi sempre e soltanto qualcosa, non vi sarebbe mai propriamente politica, ma unicamente scambio e conflitto, segnali e risposte; ma poiche' gli uomini hanno innanzitutto da comunicarsi una pura comunicabilita' (cioe' il linguaggio), allora la politica sorge come il vuoto comunicativo in cui il volto umano emerge come tale. Ô di questo spazio vuoto che politici e mediocrati cercano di assicurarsi il controllo, mantenendolo separato in una sfera che ne garantisce l'inappropriabilita' e impedendo che la comunicativita' stessa venga alla luce. Cio' significa che l'analisi marxiana va integrata nel senso che il capitalismo (o qualunque altro nome si voglia dare al processo che domina oggi la storia mondiale) non era rivolto solo all' espropriazione dell' attivita' produttiva, ma anche e soprattutto all'alienazione del linguaggio stesso, della stessa natura comunicativa dell'uomo.

In quanto non e' che pura comunicabilita', ogni volto umano, anche il piu' nobile e bello, sta sempre sospeso in bilico su un abisso. Per questo proprio i volti piu' delicati e pieni di grazia paiono a volte improvvisamente disfarsi, lasciano emergere il fondo informe che li minaccia. Ma questo fondo amorfo non e' che la stessa apertura, la stessa comunicabilita' in quanto restano presupposte a se stesse come una cosa. Indenne e' solo quel volto che assume su di se'l'abisso della propria comunicabilita' e riesce a esporlo senza timore ne' compiacimento.

Per questo ogni volto si contrae in un' espressione, s'irrigidisce in un carattere e, in questo modo, s'inoltra e sprofonda in se stesso. Il carattere e' la smorfia del volto nel punto in cui essendo soltanto comunicabilita' si accorge di non avere nulla da esprimere e silenziosamente arretra dietro di se' nella propria muta identita'. Il carattere e' la costitutiva reticenza dell'uomo nella parola; ma quel che sarebbe qui da afferrare e' solo un'illatenza, una pura visibilita': soltanto un viso. E il volto non e' qualcosa che trascenda il viso: e' l' esposizione del viso nella sua nudita', vittoria sul carattere, parola. Poiche' l'uomo e' e ha da essere soltanto volto, tutto si scinde per lui in proprio e improprio, vero e falso, possibile e reale. Ogni apparenza che lo manifesta gli diventa cosi' impropria e fattizia e lo mette di fronte al compito di far propria la verita'. Ma questa non e' essa stessa una cosa di cui ci si possa mai appropriare ne' ha, rispetto all'apparenza e all'improprio, un altro oggetto: e' soltanto il loro afferramento, la loro esposizione. La politica totalitaria del moderno e', invece, volonta' di autoappropriazione totale, in cui o l'improprio (come avviene nelle democrazie industriali avanzate) impone dovunque il proprio dominio in un'infrenabile volonta' di falsificazione e di consumo o (come avviene negli Stati cosiddetti totalitari) il proprio pretende di escludere da se ogni improprieta'. In entrambi i casi, in questa grottesca contraffazione del volto, va perduta la sola possibilita' veramente umana: quella di appropriarsi dell' improprieta' come tale, di esporre nel volto la propria semplice improprieta', di camminare oscuramente nella sua luce,

Il volto umano riproduce nella sua stessa struttura la dualita' di proprio e improprio, di comunicazione e comunicabilita', di potenza e di atto che lo costituisce. Esso e' formato da un fondo passivo sul quale spiccano i tratti attivi espressivi. Come la stella- scrive Rosenzweig - rispecchia nei due triangoli sovrapposti i suoi elementi e la coesione degli elementi in una via, cosi' anche gli organi del volto si dividono in due strati. Poiche' i punti vitali del volto sono quelli in cui esso entra in connessione col mondo esterno, sia in quanto ricettivo che in quanto attivo. Secondo gli organi ricettivi e' ordinato lo strato di fondo, per cosi' dire le pietre di costruzione di cui il volto e' composto: fronte e guance. Alle guance appartengono gli orecchi, alla fronte il naso. Orecchi e naso sono gli organi del puro ricevere. Sopra questo primo triangolo elementare, formato dal centro della fronte come punto dominante dell'intero volto e dai punti mediani delle guance, si stende un secondo triangolo, che e' composto dagli organi il cui gioco espressivo anima la rigida maschera del primo: occhi e bocca.

Nella pubblicita' e nella pornografia (societa' dei consumi) vengono in primo piano gli occhi e la bocca; negli Stati totalitari (burocrazia) domina il fondo passivo (immagini inespressive dei tiranni negli uffici). Ma solo il gioco reciproco dei due piani e' la vita del volto. Dalla radice indoeuropea che significa << uno >>, proven gono in latino due forme: similis, che esprime la somiglianza, e simul, che significa <>. Cosi' accanto a similitudo (somiglianza) si ha simultas, il fatto di essere insieme (da cui, anche, rivalita', inimicizia), e accanto a similare (rassomigliare) si ha simulare (copiare, imitare, da cui, anche, fingere, simulare).

Il volto non e' simulacro, nel senso di qualcosa che dissimula e copre la verita': esso e' la simultas, l'essere insieme dei molteplici visi che lo costituiscono, senza che alcuno di essi sia piu' vero degli altri. Cogliere la verita' del volto significa afferrare non la somigiianza, ma la simultaneita' dei visi, l' inquieta potenza che li tiene insieme e accomuna. Cosi' il volto di Dio e' la simultas dei volti umani, la << nostra effige >> che Dante vide nel << vivo lume >> del paradiso.

Il mio volto e' il mio fuori: un punto di indifferenza rispetto a tutte le mie proprieta', rispetto a cio' che e' proprio e a cio' che e' comune, a cio' che e' interno e a cio' che e' esterno. Nel volto, io sto con tutte le mie proprieta' (il mio essere bruno, alto, pallido, orgoglioso, emotivo,..), ma senza che nessuna di esse mi identifichi o mi appartenga essenzialmente. Esso e' la soglia di depropriazione e di deidentificazione di tutti i modi e di tutte le qualita', nella quale soltanto essi diventano puramente comunicabili. E solo dove trovo un volto, un fuori mi avviene, incontro un' esteriorita'.

Siate soltanto il vostro volto. Andate alla soglia. Non restate i soggetti delle vostre proprieta' o facolta', non rimanete sotto di esse, ma andate con esse, in esse, oltre esse.


Ultima revisione: 10 gennaio 1997

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