Laboratorio di disegno industriale e ambientale IV
Prof. C. Soddu - Prof.ssa E. Colabella


Victor Hugo

Il libro uccidera' l'edificio

da "Notre Dame de Paris"

Da questo punto di vista, la vaga formula dell'arcidiacono aveva un secondo senso; significava che un'arte stava per spodestare un'altra arte. Voleva dire: la stampa uccidera' l'architettura. Infatti, dalle origini fino a tutto il XV secolo dell' era cristiana, l'architettura e' il gran libro dell'umanita', la principale espressione dell'uomo attraverso i diversi stadi del suo sviluppo, sia come forza sia come intelligenza. Quando la memoria delle prime razze si senti' sovraccarica, quando il bagaglio di ricordi del genere umano divenne cosi pesante e cosi' confuso che la parola, nuda e instabile, rischio' di perderne lungo il cammino, si penso' d'iscriverli sul suolo nel modo piu' duraturo e nello stesso tempo piu' naturale. Ogni tradizione venne suggellata sotto un monumento. I primi di questi furono massi di pietra che il ferro non aveva toccati, come dice Mose'. L' architettura comincio' come tutte le scritture: dall' alfabeto. Si piantava dritta una pietra, ed era una lettera, e ogni lettera era un geroglifico, e su ogni geroglifico riposava un gruppo d'idee come il capitello sulla colonna. Cosi fecero le prime razze, dovunque, nello stesso momento, sulla superficie di tutta la terra. La pietra alzata dei celti, la ritroviamo nella Siberia asiatica, nelle pampas d' America. Piu' tardi, furono fatte le parole. Sovrapponendo pietra su pietra, si accoppiarono sillabe di granito, il verbo tento' qualche combinazione. Il dolmen e il cromlech dei celti, il tumulo degli etruschi, il galgal degli ebrei, sono parole. Alcune, soprattutto il tumulo, sono nomi propri. A volte, quando si disponeva di molta pietra e di molto spazio, si scriveva una frase. L' immenso cumulo di Karnac e' gia' una intera formula. E finalmente nacquero i libri. Le tradizioni avevano partorito simboli, sotto cui esse scomparivano come il tronco di un albero sotto il suo fogliame; tutti quei simboli in cui credeva l'umanita' crescevano, si moltiplicavano, s'incrociavano, facendosi sempre piu' complicati; i primi monumenti non bastavano piu' a contenerli; ne traboccavano da ogni parte; a mala pena esprimevano ancora la tradizione primitiva, semplice come loro nuda, e appoggiata al suolo. Il simbolo aveva bisogno di espandersi nell'edificio. Allora l'architettura si sviluppo' di pari passo con il pensiero umano; divento' un gigante con mille teste e mille braccia, e fisso' in una forma eterna, visibile, palpabile, tutto quel simbolismo fluttuante. Mentre Dedalo, che e' la forza, misurava, mentre Orfeo, che e' l'intelligenza, cantava, il pilastro che e' una lettera, l' arco che e' una sillaba, la piramide che e' una parola, messi in moto contemporaneamente da una legge di geometria e da una legge di poesia, si raggruppavano, si combinavano, si amalgamavano, scendendo, salendo, giustapponendosi sul suolo, sovrapponendosi nel cielo, fino a quando ebbero scritto, sotto il dettato dell'idea generale di un'epoca, quei libri meravigliosi che erano anche meravigliosi edifici: la pagoda di Eklinga, il Ramseion di Egitto, il tempio di Salomone. L'idea madre, il verbo, non era solo nascosto in tutti questi edifici, ma appariva anche nella forma. Il tempio di Salomone, per esempio, non era semplicemente la rilegatura del libro santo, era lui stesso il libro santo. Su ognuna delle sue cinte concentriche, i sacerdoti potevano leggere il verbo tradotto e reso manifesto allo sguardo, e ne seguivano cosi' le trasformazioni di santuario in santuario fino ad impadronirsene nell'ultimo tabernacolo sotto la sua forma piu' concreta che era anch' essa un' architettura: l'arca. Cosi il verbo era racchiuso nell'edificio, ma la sua immagine appariva sull' involucro come il volto umano sul sarcofago di una mummia. E non soltanto la forma degli edifici, ma anche il luogo prescelto rivelava il pensiero che era destinato a significare. A seconda che il simbolo da esprimere fosse lieto o grave, la Grecia coronava le sue montagne di templi armoniosi, l'India squarciava le sue per scolpirvi deformi pagode sotterranee sostenute da gigantesche schiere di elefanti di granito.

Cosi', durante i primi seimila anni del mondo, dalla pagoda piu' immemorabile dell' Indostan fino alla cattedrale di Colonia l'architettura e' stata la grande scrittura del genere umano. E cio' e' talmente vero che non soltanto ogni simbolo religioso, ma anche ogni pensiero umano ha la sua pagina in questo libro immenso, ha il suo monumento. Ogni civilta' incomincia dalla teocrazia per finire nella democrazia. Questa legge per cui la liberta' succede all' unita' e' scritta nell'architettura. Infatti, insistiamo su questo punto, non e' da credere che l'arte del costruire limiti il suo potere a edificare il tempio, a esprimere il mito e il simbolismo sacerdotale, a trascrivere in geroglifici su pagine di pietra le tavole misteriose della legge. Se si limitasse a questo, poiche' per ogni societa' umana viene il momento in cui il simbolo sacro si logora e si oblia sotto il libero pensiero, in cui l'uomo si sottrae all'influenza del prete, in cui il sopravvento delle filosofie e dei sistemi rode la faccia delle religioni, l' architettura non potrebbe riprodurre questo nuovo stadio dello spirito umano, le sue pagine, cariche di segni da un lato, sarebbero vuote dall'altro, la sua opera rimarrebbe tronca, il suo libro incompleto. Ma cio' non avvenne. Prendiamo ad esempio il Medioevo in cui vediamo piu' chiaro perche' ci e' piu' vicino. Durante il suo primo periodo, mentre la teocrazia organizza l'Europa, mentre il Vaticano raduna e riordina intorno a se gli elementi di una Roma fatta con i resti della Roma che giace in rovina ai piedi del Campidoglio, mentre il cristianesimo va cercando tra i rottami della civilta' anteriore tutti gli strati della societa' e ricostruisce con quelle rovine un nuovo universo gerarchico in cui il sacerdozio fa da chiave di volta, sentiamo dapprima scaturire da questo caos, poi a poco a poco, sotto il soffio del cristianesimo e sotto la mano dei barbari, vediamo sorgere dalle macerie delle architetture greca e romana ormai morte, quella misteriosa architettura romanica, sorella delle costruzioni teocratiche dell'Egitto e dell'India, eterno emblema del cattolicesimo puro, immutabile geroglifico dell'unita' papale. Tutto il pensiero di quel tempo, infatti, e' scritto in quel cupo stile romanico. Vi sentiamo dovunque l' autorita', l'unita', l'impenetrabile, l'assoluto, Gregorio VII, sempre il prete, mai l'uomo: sempre la casta, mai il popolo. Ma arrivano le crociate: un grande movimento popolare: e ogni grande movimento popolare, qualunque ne sia la causa e lo scopo sviluppa sempre nella sua ultima sublimazione lo spirito di liberta'. C'e' odore di nuovo nell'aria. Ecco aprirsi il periodo tempestoso delle Jacqueries, delle Progueries, delle Leghe. L' autorita' e' scossa, l'unita' si biforca. Il feudalesimo chiede di spartire la torta con la teocrazia in attesa che sopravvenga fatalmente popolo a farsi, come sempre, la parte del leone. Quio nomino leo.

La signoria spunta quindi sotto il sacerdozio, il comune sotto la signoria. L'Europa cambia faccia. Ebbene, cambia anche la faccia dell'architettura. Al pari della civilta', anche l'architettura ha iniziato una nuova pagina e lo spirito nuovo dei tempi la trova gia' pronta a scrivere quanto le detta. Ô tornata dalle crociate con l' arco a sesto acuto, come le nazioni con la liberta'. Allora, mentre Roma si smembra a poco a poco, l' architettura romanica muore. Il geroglifico abbandona la cattedrale e va a blasonare le torri dei castelli per dar prestigio al feudalesimo. La cattedrale stessa, questo edificio cosi' dogmatico un tempo, invasa ormai dalla borghesia, dal comune, dalla liberta', sfugge al dominio del prete e cade in potere dell'artista, che la costruisce a suo modo. Addio mistero, mito, legge. Regnano la fantasia e il capriccio. Purche' il prete abbia la sua basilica e il suo altare, non ha altro da chiedere. I quattro muri spettano all' artista. Il libro dell' architettura non appartiene piu' ai sacerdoti, alla religione, a Roma; ma all'immaginazione, alla poesia, al popolo. Da cio' le trasformazioni rapide e innumerevoli di quest'arte nata da solo tre secoli, che ci colpiscono dopo l'immobilita' stagnante dell' architettura romanica che ne conta sei o sette. E l'arte fa passi da gigante. Il genio e l'originalita' popolare compiono il lavoro che prima spettava ai vescovi. Ogni razza che passa scrive la sua riga sul libro; cancella i geroglifici romanici dal frontespizio delle cattedrali ed e' gia' molto se vediamo ancora trasparire qua e la' il dogma sotto il nuovo simbolo che vi depone. I drappi apposti dal popolo lasciano appena indovinare l'ossatura religiosa. Non possiamo farci un'idea delle licenze che prendono allora gli architetti, perfino contro la chiesa. Ecco capitelli arabescati da frati e monache vergognosamente accoppiati, come nella sala dei Caminetti del Palazzo di Giustizia a Parigi. Ecco l'avventura di Noe' scolpita senza sottintesi come sotto il portale principale di Bourges. Ecco un fratacchione amante di Bacco con le orecchie d' asino e il bicchiere in mano che ride in faccia a tutta la comunita', come sul lavabo dell' abbazia di Bocherville. Esiste in quell' epoca, per il pensiero scritto sulla pietra, una liberta' molto simile all' attuale liberta' di stampa. Ô la liberta' dell'architettura. E questa liberta' andava molto lontano. A volte un portale, una facciata, un'intera chiesa presentano un senso simbolico completamente estraneo al culto, o perfino ostile alla chiesa. Fin dal XIII secolo Guglielmo di Parigi, e nel XV Nicolas Flamel, hanno scritto di queste pagine sediziose. Saint-Jacques-de-la-Boucherie era tutta una chiesa di opposizione. Il pensiero di allora era libero solo in questo modo: poteva essere scritto per intero solo su quei libri che erano chiamati edifici. Quello stesso pensiero, sotto forma di manoscritto, sarebbe stato bruciato sulla pubblica piazza per mano del boia, solo che avesse avuto l'imprudenza di correrne il rischio; ma, inciso sul portale di una chiesa, poteva assistere tranquillamente al supplizio di se stesso, scritto in un libro. Non avendo dunque altra strada per uscire alla luce, il pensiero si affannava dovunque a costruire edifici. Da cio' l' immensa quantita' di cattedrali che hanno ricoperta l'Europa, in numero cosi' prodigioso da non riuscire a crederlo neppure dopo averlo constatato. Tutte le forze materiali, tutte le forze intellettuali della societa' convergevano verso il medesimo punto: l'architettura. In tal modo, col pretesto di dedicare a Dio nuove chiese, l'arte si sviluppava in proporzioni magnifiche. A quel tempo chiunque nasceva poeta si faceva architetto. Il genio diffuso nelle folle, compresso da ogni lato sotto il feudalesimo come sotto una testudo di scudi di bronzo, non trovando altra via di sfogo se non verso l' architettura, sboccava in essa, e le sue Iliadi prendevano forma di cattedrali. Tutte le altre arti obbedivano all'architettura e l'assecondavano. Erano le operaie della grande opera. L' architetto, poeta e capomastro, riassumeva nella sua persona la scultura che gli cesellava le facciate, la pittura che gli miniava le vetrate, la musica che metteva in moto le campane e soffiava negli organi. Perfino la povera poesia propriamente detta, quella che si ostinava a vegetare nei manoscritti, era costretta, pur di farsi udire, a inquadrarsi nell' edificio sotto forma d' inno o di epigrafe; la stessa parte del resto, che avevano avuto le tragedie di Eschilo nelle feste Sacerdotali greche, e la Genesi nel tempio di Salomone.

Cosi', fino a Gutenberg, l' architettura e' la scrittura principale, la scrittura universale. Di questo libro granitico cominciato dall'Oriente, continuato dall'antichita' greca e romana, il Medioevo ha scritto l'ultima pagina. Del resto, il fenomeno di un' architettura di popolo che succede a un' architettura di casta quale lo abbiamo ora osservato nel Medioevo, si riproduce, con ogni movimento analogo dell'intelligenza umana, nelle altro grandi epoche storiche. Cosi', per enunciare solo sommariamente una legge la cui dimostraziOne richiederebbe interi volumi nell'antico Oriente, culla delle prime eta', all'architettura indiana tien dietro l'architettura dei fenici, madre opulenta dell'architettura araba; nell' antichita', dopo l' architettura egizia di cui lo stile etrusco e i monumenti ciclopici sono soltanto una varieta', abbiamo l' architettura greca che si prolunga in quella romana resa piu' greve dalla cupola cartaginese; nei tempi moderni, dopo l' architettura romanica viene quella gotica. E sdoppiando queste tre serie, ritroveremo sulle tre sorelle maggiori indiana, egizia, romanica il medesimo simbolo: teocrazia, casta, unita', dogma, mito, Dio; mentre le tre sorelle minori fenicia, greca, gotica qualunque ne sia la diversita' della forma inerente alla loro natura, esprimono anch'esse un eguale significato: liberta', popolo, uomo. Che si chiami bramino, mago o papa, nei templi indiani, egizi e romanici si sente sempre il prete, nient' altro che il prete. Non accade lo stesso nelle architetture del popolo: sono piu' ricche e meno sacre. In quella dei fenici si sente il mercante, nella greca il repubblicano, nella gotica il borghese. I caratteri generali di ogni architettura teocratica sono l' immutabilita', l' orrore del progresso, la fedelta' alle linee tradizionali, l'ossequio per i tipi primitivi, il continuo piegarsi di ogni forma umana e naturale ai capricci incomprensibili del simbolo. Sono libri tenebrosi che solo gli iniziati riescono a decifrare. ln essi, ogni forma, e anche ogni deformita', racchiude un senso che la rende inviolabile. Non chiedete alle costruzioni indiane, egizie, romaniche di modificare il loro disegno o di migliorare la loro statuaria. Ogni perfezionamento sarebbe empio. In quelle architetture, la rigidita' del dogma sembra essersi esteso alla pietra come una seconda pietrificazione. lnvece, i caratteri salienti delle costruzioni popolari sono la varieta', il progresso, l'originalita', l'opulenza, il perpetuo movimento. Sono gia' tanto emancipate dalla religione da poter pensare alla bellezza, avendone cura, modificando di continuo i loro ornamenti di statue o di arabeschi. Seguono i tempi. Hanno in se qualche cosa di umano che non cessano di mescolare al simbolo divino sotto il cui segno continuano a fiorire. Percio' tali edifici sono penetrabili per ogni anima, per ogni intelligenza, per ogni immaginazione: ancora simbolici, ma facili da comprendere come la natura. Tra l'architettura teocratica e l'altra c'e' la differenza che passa tra una lingua sacra e una lingua volgare, tra il geroglifico e l'arte, tra Salomone e Fidia.

Se riassumiamo quanto abbiamo indicato fin qui molto sommariamente trascurando mille prove e anche mille obbiezioni di carattere particolare, siamo portati a queste conclusioni: l' architettura fu fino al XV secolo il principale registro dell' umanita' e, durante tutto quel periodo, non e' apparso al mondo un pensiero un poco complesso che non si sia espresso in un edificio, di modo che ogni idea popolare come ogni legge religiosa ha avuto i suoi monumenti: insomma, il genere umano non ha mai pensato nulla d'importante senza trascriverlo nella pietra. E perche'? perche' ogni pensiero, sia religioso, sia filosofico, ha interesse a perpetuarsi; perche' l'idea che ha smosso una generazione vuole smuoverne altre e lasciar traccia di se. Ora, come e' precaria l' immortalita' promossa da un manoscritto! E quanto invece e' solida, duratura, resistente quella affidata a un edificio! Per distruggere la parola scritta, basta una torcia e un turco. Per distruggere la parola costruita, occorre una rivoluzione sociale o uno sconvolgimento tellurico. I barbari sono passati sul Colosseo; il diluvio, forse, sulle Piramidi. Nel XV secolo tutto cambia. Il pensiero umano scopre un nuovo mezzo di perpetuarsi non solo piu' durevole e piu' resistente dell'architettura, ma anche piu' semplice e piu' facile. Quest'ultima e' detronizzata. Alle lettere di pietra di Orfeo succederanno le lettere di piombo di Gutenberg. Il libro sta per uccidere l'edificio. L'invenzione della stampa e' il piu' grande avvenimento della storia. Ô la rivoluzione madre. Ô il modo di espressione dell'umanita' che si rinnova totalmente, e' il pensiero umano che si spoglia di una forma per rivestirne un' altra, e' il completo e definitivo mutar pelle di quel serpente che, da Adamo in poi, simboleggia l' intelligenza. Sotto forma di stampa, il pensiero e' piu' imperituro che mai: e' volatile, inafferrabile, indistruttibile. Si fonde con l'aria. Mentre all' epoca dell' architettura si faceva montagna e s'impadroniva prepotentemente di un secolo e di un luogo, ora si fa stormo di uccelli, si sparge ai quattro venti, occupa a un tempo tutti i punti dell'aria e dello spazio. Lo ripetiamo: chi non vede che sotto questa forma e' assai piu' indelebile? Da solido qual era e' diventato vivo, passando dalla durata all'immortalita'. Ô possibile demolire una massa ma come estirpare l'ubiquita'? Se verra' un diluvio, la montagna sara' scomparsa gia' da un pezzo sotto i flutti mentre gli uccelli voleranno ancora; e se una sola arca navighera' sulla superficie del cataclisma, gli uccelli vi si poseranno, staranno a galla con lei, assisteranno con lei al ritirarsi delle acque, e il mondo nuovo che uscira' da quel caos svegliandosi vedra' volare sul suo capo, alto e vivo, il pensiero del mondo sommerso. Quando poi si osservi che questo modo di espressione e' non solo il piu' atto a conservare, ma anche il piu' semplice, il piu' praticabile da tutti, quando si pensi che non ha un pesante bagaglio da trascinare ne un complicato macchinario da mettere in moto, quando si paragoni il pensiero obbligato per tradursi in edificio a servirsi di altre quattro o cinque arti e di tonnellate d' oro, di tutta una montagna di pietre, di una foresta di travi, di un popolo di operai, al pensiero che invece si fa libro, cui basta un po' di carta, un po' d'inchiostro e una penna, come meravigliarsi che la mente umana abbia abbandonato l' architettura per la stampa? Interrompete bruscamente il letto antico di un fiume scavando un canale a un livello inferiore: il fiume abbandonera' il suo primo letto.

Vedete quindi come, a partire dalla scoperta della stampa, l'architettura si dissecchi a poco a poco, si atrofizzi, si denudi. Come si sente che l' acqua si abbassa, che la linfa se ne va, che il pensiero dei tempi e degli uomini si ritira da lei! Il raffreddamento e' quasi insensibile nel XV secolo, quando la stampa, ancora troppo debole, sottrae tutt' al piu' alla possente architettura una sovrabbondanza di vita. Ma, fin dal XVI secolo, e' visibile la malattia dell' architettura; gia' non esprime piu' la societa' nella sua essenza; si fa miseramente arte classica; da gallica, europea, indigena, diventa greca e romana; da vera e moderna, pseudoantica. E questa decadenza vien detta rinascimento. Decadenza magnifica, tuttavia, perche' il vecchio genio gotico, sole che sta tramontando dietro il gigantesco torchio di Magonza, penetra ancora per qualche tempo con i suoi ultimi raggi tutto quell'ibrido ammasso di arcate latine e di colonnati corinzi. Quel sole al tramonto noi lo prendiamo per un' aurora. Intanto, dal momento che l' architettura e' soltanto un' arte come un'altra, e non piu' l'arte totale, l'arte regina, l'arte tiranna, viene a mancarle la forza di trattenere unite a Se le altre arti. Queste dunque si emancipano, spezzano il gioco dell'architettura, prendono ognuna la propria strada. E ciascuna ci guadagna a far da se. L'isolamento fa tutto piu' grande. Gli ornati di pietra diventano statue, le immagini dei santi diventano vera pittura, il canone diventa musica. Sembra un impero che si smembri alla morte del suo Alessandro, le cui province diventano regni. Ed ecco Raffaello, Michelangelo, Jean Goujon, Palestrina, quegli splendidi astri del luminoso secolo XV. Insieme con le arti, il pensiero si emancipa in ogni direzione. Gli eresiarchi del Medioevo avevano gia' inferto larghe ferite al cattolicesimo. Il XVI secolo spezza l'unita' religiosa. Prima della stampa, la riforma sarebbe stata soltanto uno scisma; la stampa la trasforma in una rivoluzione. Togliete la stampa e l' eresia perde il nerbo. Sia fato o provvidenza, Gutenberg e' il precursore di Lutero.

Tuttavia, quando il sole del Medioevo e' completamente tramontato, quando il genio gotico si e' spento per sempre all' orizzonte dell'arte, l'architettura va offuscandosi, scolorandosi, cancellandosi sempre di piu'. La succhia e la divora il libro stampato, tarlo che rode l'edificio; ed essa si spoglia, s'immiserisce, dimagra a vista d' occhio. Non esprime piu' niente, nemmeno il ricordo dell'arte d'altri tempi. Ridotta a se stessa, abbandonata dalle altre arti perche' il pensiero umano l'ha abbandonata, ricorre a manovali in mancanza di artisti. Il vetro sostituisce la vetrata; lo scalpellino rimpiazza lo scultore. Addio linfa vitale, originalita', intelligenza. Misera mendicante, si trascina per gli studi, limitandosi a copiare. Michelangelo, che fin dal XVI secolo ne presentiva la morte, ebbe un'ultima idea, un'idea disperata. Questo titano dell' arte, sovrapponendo il Pantheon al Partenone, innalza a Roma la chiesa di San Pietro: opera grandiosa, meritevole di restare unica, ultima creazione originale dell' architettura, firma di un artista gigantesco in fondo al colossale registro di pietra che si chiudeva. Morto Michelangelo, che fa quella miserabile architettura sopravvissuta a se stessa come uno spettro o un' ombra? Prende San Pietro di Roma, lo ricalca, ne fa la parodia. Ô una mania, una pieta'. Ogni secolo avra' il suo San Pietro di Roma; il XVII, Val-de-Grace; il XVIII, Sainte-Genevie've. Ogni paese ha il suo San Pietro di Roma. Londra ne ha uno, uno Pietroburgo, Parigi ne ha due o tre. Testamento insignificante, ultimo vaneggiamento di una grande arte decrepita che ritorna bambina prima di morire.

Se invece di monumenti particolari come quelli di cui abbiamo ora parlato esaminiamo nel suo aspetto generale l' arte dal XVI al XVIII secolo, notiamo gli stessi fenomeni di decadenza e di etisia. A partire da Francesco II, la forma architettonica dell' edificio va cancellandosi lasciando in evidenza la forma geometrica, come l' ossatura di un malato smagrito. Le belle linee dell' arte cedono il posto alle fredde e inesorabili linee della geometria. Un edificio non e' piu' un edificio, e' un poliedro. L' architettura tuttavia si da' da fare per nascondere tale nudita'. Ecco il frontone greco iscriversi in quello romano e viceversa. Siamo ancora al Pantheon sovrapposto al Partenone, San Pietro di Roma. Ecco le case di mattoni di Enrico IV a spigoli di pietra: la place Royale, la place Dauphine. Ecco le chiese di Luigi XIII, pesanti, tarchiate, schiacciate, massicce, appesantite da una cupola come da una gobba. Ecco l'architettura mazzarina, il goffo pasticcio italiano delle Quatre-Nations. Ecco il palazzo di Luigi XIV, lunghe caserme per cortigiani, rigide, glaciali, noiose. E finalmente ecco Luigi XV, con i mille fronzoli e tutte le verruche e tutte le muffe che sfigurano quella vecchia architettura cadente, sdentata e civettuola. Da Francesco II a Luigi XV il male si e' aggravato in progressione geometrica. L' arte e' ridotta a pelle e ossa: agonizza miseramente. Nel frattempo, che n'e' della stampa? Tutta la vita che sfugge dall' architettura entra in lei. A misura che l' architettura declina, la stampa gonfia e s' ingrossa. Il capitale di forze che il pensiero umano impiegava in edifici, ora lo impiega in libri. Cosi' dal secolo XVI la stampa cresciuta fino a raggiungere il livello dell'architettura decrescente, lotta con lei e la uccide. Nel XVII, e' gia' cosi' sovrana, cosi trionfante, cosi insediata nella vittoria da potere offrire al mondo la festa di un gran secolo letterario. Nel XVIII, dopo un lungo riposo alla corte di Luigi XIV, riafferra la vecchia spada di Lutero, ne arma Voltaire e corre tumultuando all' attacco di quella vecchia Europa, dove ha gia' ucciso ogni espressione architettonica. Alla fine del XVIII secolo, la distruzione e' completa. Nel XIX, la stampa si accinge a ricostruire. Adesso ci chiediamo: quale delle due arti rappresenta realmente da tre secoli il pensiero umano? quale riesce a tradurlo? Quale e' capace di esprimerne non soltanto le manie letterarie e scolastiche, ma anche il vasto, profondo, universale movimento? Quale s'impone costantemente, senza fratture e senza lacune, a quel mostro che cammina con mille piedi, il genere umano? La stampa. Non illudiamoci: l'architettura e' morta, morta senza speranza di risurrezione, uccisa dal libro stampato, uccisa perche' dura di meno, uccisa perche' costa piu' cara. Ogni cattedrale e' un miliardo. Figuriamoci adesso quale apporto di fondi occorrerebbe per riscrivere il libro architettonico; per far pullulare nuovamente sul suolo migliaia di edifici; per ritornare alle epoche in cui la folla di monumenti era tale che, a quanto dice un testimonio oculare, << si sarebbe detto che il mondo scuotendosi avesse respinto le vecchie vesti per ricoprirsi di un candido manto di chiese >>. Erar enim ur si mundus, ipse excuriendo semet, rejecta vetustate, candidam ecclesiarum vestem indueret (Glaber Raduphus).

Un libro e' cosi' presto fatto, costa cosi' poco e puo' andare tanto lontano! Come meravigliarsi che ogni pensiero umano scenda per questa china? Cio' non significa che l'architettura non dara' ancora qua e la' qualche bel monumento, un capolavoro isolato. Anche sotto l'impero della stampa, potremo avere di tanto in tanto una colonna fatta, suppongo, da tutto un esercito fondendo il bronzo dei cannoni nemici, come sotto l'impero dell' architettura vi furono Iliadi e Romanceros, Mahabahrata e Niebelungen, fatte da tutto un popolo con rapsodie ammucchiate e fuse. Nel XX secolo potra' avverarsi per caso la nascita di un architetto geniale, come nel XIII nacque Dante. L'architettura non sara' piu' l'arte sociale, l'arte collettiva, l'arte dominante. Il grande poema, il grande edificio, la grande opera dell'umanita' non sara' costruita, sara' stampata. E ormai, se anche l' architettura si risollevera' incidentalmente, non sara' piu' padrona. Subira' la legge della letteratura, a cui la imponeva un tempo: le posizioni rispettive delle due arti saranno invertite. Ô certo che ne11' epoca architettonica i rari poemi somigliano a monumenti. Nell'oriente egizio la poesia ha le stesse linee grandiose e tranquille degli edifici; nell'antica Grecia, ne ha la bellezza, la serenita', la calma; nell'Europa cristiana, la maesta' cattolica, l'ingenuita' popolare, la ricca e lussureggiante vegetazione di un'epoca di rinnovamento. La Bibbia somiglia alle Piramidi, l'Iliade al Partenone, Omero a Fidia. Nel Xlll secolo, Dante e' l'ultima chiesa romanica; nel XVl, Shakespeare, l' ultima cattedrale gotica. Cosi', per riassumere quanto abbiamo detto finora in modo necessariamente incompleto e monco, il genere umano ha due libri, due registri, due testamenti: l' architettura e la stampa, la bibbia di pietra e la bibbia di carta. Senza dubbio, nel contemplare queste due bibbie cosi' largamente aperte nei secoli, e' lecito rimpiangere la maesta' visibile della scrittura di granito, quei giganteschi alfabeti fatti di colonnati, di pilastri, di obelischi, quelle specie di montagne umane che coprono il mondo e il passato, dalla piramide al campanile, da Cheope a Strasburgo. Bisogna rileggere il passato su quelle pagine di marmo. Bisogna ammirare e non stancarsi di sfogliare il libro scritto dall' architettura; ma non per questo negare la grandezza dell' edificio innalzato a sua volta dalla stampa.

Ô un edificio colossale. Non so quale esperto di statistica ha calcolato che sovrapponendo l' uno all' altro tutti i volumi usciti dalle stamperie da Gutenberg in poi si colmerebbe lo spazio tra la terra e la luna; ma non di questa sorta di grandezza intendiamo parlare. Tuttavia, se cerchiamo di raccogliere nella nostra mente in una visione totale quanto la stampa ha prodotto fino ai nostri giorni, questo insieme non ci appare forse come una immensa costruzione, appoggiata sul mondo intero, alla quale l'umanita' lavora senza posa, e la cui testa mostruosa si perde nelle brume profonde dell' awenire? Ô il formicaio delle intelligenze. Ô l'alveare dove tutte le fantasie, api dorate, arrivano con il loro miele. L' edificio ha mille piani. Qua e la' vediamo aprirsi sulle scalinate le bocche delle caverne tenebrose della scienza che s'incrociano nelle sue viscere. Su tutta la superficie l' arte profonde davanti ai nostri occhi i suoi arabeschi, i suo rosoni, e i suoi merletti. Ogni opera individuale, per capricciosa e isolata che sembri, vi trova il suo posto e il suo risalto, l'armonia risulta dal tutto. Dalla cattedrale di Shakespeare alla moschea di Byron, mille campanili si affollano alla rinfusa su quella metropoli del pensiero universale. Alla base sono riscritti certi antichi titoli dell'umanita' che l' architettura non aveva registrati. A sinistra dell'entrata e' murato il vetusto bassorilievo, il marmo bianco di Omero, a destra alza le sue sette teste la Bibbia poliglotta. Piu' lontano si erge l' idra del Romancero, con altre forme ibride quali i Veda e i Niebelungen. Del resto il prodigioso edificio rimane sempre incompiuto. Il torchio, macchina gigantesca che pompa instancabilmente tutta la linfa degl'intellettuali umani, vomita senza tregua nuovi materiali per la sua costruzione. Tutto il genere umano sta sulle impalcature, ogni intelletto fa da muratore. Il piu' umile tappa un buco o aggiunge una pietra. Retif de la Bretonne arriva con la sua gerla di calcinacci. Ogni giorno s'innalza un nuovo piano. Indipendentemente dell'apporto originale e individuale di ogni scrittore, vi sono contingenti collettivi. Il XVIII secolo da' l'Enciclopedia, la Rivoluzione contribuisce con il << Moniteur >>. Certo anche questa e' una costruzione che cresce e s' innalza in spirali infinite; anche qui, confusione di lingue, attivita' incessante, travaglio che non conosce stanchezza, concorso accanito di tutta l'umanita', rifugio promesso all'intelligenza contro un nuovo diluvio, contro un'invasione di barbari. Ô la seconda torre di Babele del genere umano.


Ultima revisione: 10 gennaio 1997

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