TESTI

Jack Kerouc

Sulla strada

(...) Il principio del nostro viaggio fu piovigginoso e misterioso. Potevo capire che tutto stava per diventare una gran saga della nebbia. "Urra`" urlava Dean. "Ecco che andiamo !"E si ranicchiava sul volante e lanciava la macchina come un bolide; era tornato nel suo elemento, ognuno di noi poteva vederlo. Tutti eravamo felici, ci rendevamo conto che stavamo abbandonando dietro di noi la confusione e le sciocchezze e compiendo la nostra unica e nobile funzione nel tempo, andare.

(...) Da bambino, mentre stavo sdraiato sul sedile posteriore nell'automobile di mio padre, ebbi anche una visione di me stesso su un cavallo bianco che cavalcavo a fianco della macchina superando tutti i possibili ostacoli che mi si presentassero: questo voleva dire schivare i pali, correre intorno alle case, qualche volta superarle d'un balzo quando le vedevo troppo tardi, correre sulle colline, attraverso piazze improvvise piene di traffico che dovevo scansare in modo incredibile..." "Sì! Sì! Sì" ansimò Dean estatico. "L'unica differenza per quanto mi riguarda era che io correvo a piedi, e non avevo cavallo. Tu eri un ragazzo dell'Est e sognavi i cavalli; naturalmente noi non ammettiamo cose simili poichè sappiamo entrambi che in realtà sono idee da scartare e puramente letterarie, sennonchè io nella mia schizofrenia probabilmente ancora più selvaggia in realtà correvo a piedi accanto alla macchina e a velocità incredibili, qualche volta a centocinquanta l'ora, saltando ogni cespuglio e steccato e fattoria e qualche volta facendo brevi puntate sulle colline e tornando indietro senza perdere terreno nemmeno per un momento..."

(...) Poi bisbigliò, afferrandosi alla mia manica, sudando: "Adesso considera un pò questi qua davanti. Hanno preoccupazioni, contano i chilometri, pensano a dove devono dormire stanotte, quanti soldi per la benzina, il tempo, come ci arriveranno... e in tutti i casi ci arriveranno lo stesso, capisci. Però hanno bisogno di preoccuparsi e d'ingannare il tempo con necessità fasulle o d'altro genere, le loro anime puramente ansiose e piagnucolose non saranno in pace finchè non riusciranno ad agganciarsi a qualche preoccupazione affermata e provata e una volta che l'avranno trovata assumeranno un'espressione facciale che le si adatti e l'accompagni, il che, come vedi, è solo infelicità, e per tutto il tempo questa aleggia intorno a loro ed essi lo sanno e anche questo li preoccupa senza fine.

(...) Naturalmente, adesso che ci torno su col pensiero, questo non è altro che la morte; la morte ci raggiungerà prima del cielo. L'unica cosa per la quale languiamo nei nostri giorni di vita, che ci fa sospirare e lamentarci e sottostare a dolci nausee di ogni specie, è il ricordo di una certa felicità perduta che probabilmente è stata sperimentata nell'alvo materno e può riprodursi solamente (quantunque noi si detesti ammetterlo) nella morte.

(...) Dean tirò fuori altre fotografie. Mi resi conto che queste erano tutte istantanee che i nostri bambini avrebbero guardate un giorno con stupore, convinti che i loro genitori avessero vissuto una vita liscia, ben ordinata, delimitata nella cornice di quelle fotografie e si fossero alzati al mattino per incamminarsi orgogliosi sui marciapiedi della vita, senza mai sognare la stracciata pazzia e la ribellione della nostra vita reale, della nostra notte reale, l'inferno di essa, l'insensata strada piena di incubi. Tutto questo dentro un vuoto senza principio e senza fine. Compassionevoli forme d'ignoranza.

Richard Bach

Il gabbiano Jonathan Livingston

(...) Mentre affondava, una voce strana e cupa risuonò dentro di lui. Ah, non c'è via di scampo. Niente da fare, sei un gabbiano. La natura ti impone certi limiti. Se tu fossi destinato a imparare tante cose sul volo, avresti un portolano nel cervello. Carte nautiche avresti, per meningi. E se tu fossi fatto per volare come il vento, avresti l'ala corta del falcone, e mangeresti topi anzichè pesci. Sì sì, aveva ragione tuo padre. Lascia perdere queste stupidaggini. Torna a casa, torna presso il tuo Stormo, e accontentati di quello che sei, un povero gabbiano limitato.

(...) Il giuramento di poc'anzi era dimenticato, l'ebbrezza del volo l'aveva spazzato via. Eppure non si sentiva in colpa, anche se non aveva mantenuto la promessa fatta a se stesso. Promesse di quel genere impegnano soltanto quei gabbiani che s'appagano dell'ordinario tran-tran. Ma uno che aspira a una sempre maggiore perfezione, non sa proprio che farsene di simili promesse!

Mariateresa Di Lascia

Passaggio in ombra

(...)Io, sono, per mia condanna, immersa e travolta dalla realtà : essa mi ha vinta, mescolandosi ai miei occhi come un oscuro mosaico le cui parti si lasciano scorgere a loro piacimento, e si offrono alla memoria come pagine di un quaderno strappato.

(...) Nella casa dove sono rimasta, il silenzio mi sorprende col suo senso mutato: sommessamente si avanza in un corteo di ombre luminose; sommessamente m'invade con una voce che scioglie i misteri di antichi fonemi impenetrabili. Parole come nenie, riaffiorano da spazi incalcolabili e cantano il loro verso gioioso per la sola delizia dell'anima.

(...) Questo silenzio- che si lascia esplorare come un mondo mediano dove il passato s'incarna nella fantasmagoria del sogno- attraversa la sconfinata regione della salvezza. Se chiudo gli occhi ne intravedo i santuari imponenti, dove si celebrano - fra ricchezze tanto meravigliose da parere irreali - i riti incantati della MEMORIA e del FUTURO. Eccoli! Avanzano scambiandosi gli identici volti, coi corpi intrecciati in una danza sincronica: entrambi sono giovani, entrambi sono vecchi e quando l'uno è giovane, l'altra veste il suo volto vecchio; e quando l'altro è vecchio, quella prende il suo volto giovane.

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