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Gli itinerari
Adagiata su una collina ai piedi
dei monti ricoperti da conifere ed eucalipti, Chiaramonte
Gulfi è l'emblema del paesaggio della provincia iblea
che, pur essendo la più piccola della Sicilia è anche
la più varia. La cittadina in uno spazio limitato di
territorio offre anch'essa questa varietà. Acca nto ai
percorsi naturalistici attraverso i monti e in
particolare sulla cima dell'Arcibessi, antico luogo di
riti cristianizzati ancora in voga nell' '800, si scorge
l'altipiano ibleo e da lontano la piana ipparina e la
distesa degli ulivi secolari, gli olivi
"saraceni" simbolo di questa terra. Scendendo
dai tornanti della strada statale, prima di giungere in
città, si incontra la prima testimonianza
architettonica, la chiesetta del XVI secolo della Madonna
delle Grazie che è immersa nella pineta e che custodisce
nel suo interno ad una sola navata, una statua marmorea
della Vergine dello scultore Luca Maldotto, all'interno
di una cappella in calcare e pietra nera. Dopo
l'interruzione della chiesa, la pineta riprende per
chiudersi sino al margine della collina. I palazzi
barocchi, i cortili in basolato di pietra dura, i vicoli
e le scalinate del centro storico, le chiese e le
costruzioni più recenti, le stradine ancora in pietra,
declinano a Sud verso la pianura mentre ad Est si
inerpicano nella parte alta della collina.
La
storia
Nella terra di
Chiaramonte Gulfi, l'Oriente e l'Occidente hanno lasciato
le loro tracce, rendendo questo territorio come il resto
degli Iblei, un luogo di confluenza della civiltà
orientale con quella occidentale. Chiaramonte Gulfi è
nata con gli arabi, ma non bisogna dimenticare che è
stata anche culla dei greci con l'antica "Acrillai",
una gloriosa città che sorgeva nella pianura lungo la
direttrice che collegava Siracusa ad Agrigento, descritta
nell'Itinerarium Antonini, e sita accanto alle
rive del fiume Dirillo. In età preistorica questo
territorio è stato ricco di insediamenti dell'età del
bronzo, del ferro e dell'epoca tardo-antica.
La città odierna.
L'attuale tessuto urbano
nacque nel 1300, dopo la distruzione efferata della
città compiuta dagli Angioini nel 1299, un avvenimento
citato dallo storico Solarino che scrisse: "La
sola ricordanzza suscita grida di raccapriccio e
angoscia". Un drappello di soldati, nonostante
Gulfi avesse chiesto la resa e la salvezza delle donne e
dei bambini, trucidarono gli abitanti, lasciando una
traccia indelebile nella memoria collettiva. Fu la
famiglia dei Chiaramonte ad attribuire il nome del
proprio casato alla città. Il Conte Manfredi I ( che
ricevette dal Re Federico nel 1296 la Contea di Modica)
appartenente al casato normanno proveniente dalla
cittadina di Clermont de L'Oise in
Piccardia (con cui Chiaramonte è gemellata), dopo la
cacciata dei francesi volle ricostruire la città
sull'altura, fortificandola con un castello. La fortezza
riportava tre porte di accesso, di cui una, la Porta Nord
Ovest dell'Annunziata è ancora straordinariamente
intatta. Le famiglie dei nobili ricostruirono le loro
residenze intorno al castello, mentre il popolo si
trasferì più in basso, nell'odierno quartiere San Vito,
riattando delle grotte naturali dalle pareti in pietra.
Nell'Epoca tardo
antica
Le necropoli ritrovate
nel territorio dell'odierno centro di Chiramonte, come
quelle di San Nicolò di Giglia e Sant' Elena,
testimoniano la passata esistenza di "stazioni
itineranti" lungo questa via interna che collegava
Agrigento alla costa orientale della Sicilia. Queste
necropoli fanno fede anche degli antichissimi culti
cristiani (che risalgono alla prima metà del IV secolo
a.c. e che vengono considerati fra i più antichi
d'Italia), che formarono le credenze e i rituali che si
diffusero in tutto l'entroterra ibleo. A questi antichi
culti si collegano i riti cristianizzati ancora in voga
nell'800, come quello descritto dal Guastella, sulla
cerimonia compiuta dalle contadine di Chiaramonte, che il
primo di febbraio si recavano nella cima dell'Arcibessi,
alla vigilia della Maria della Purificazione.
"Frotte" di contadine, all'alba, in segno di
pentimento recitavano il rosario della Madonna, cantavano
delle "laude volgari", e con un atto di
purificazione, immergendo le mani fra l'erba e si
aspergevano di rugiada facendosi il segno della croce.
Il sito di
Scornavacche
A poche centinaia di
metri da uno degli affluenti del "sacro fiume
Dirillo", il torrente Mazzaronello, nacque nel VI
secolo a.c. ad opera dei greco siracusani, il villaggio
di Scornavacche, uno dei più importanti abitati greci
dell'epoca. E' una delle stazioni itineranti la cui
sopravvivenza e il cui benessere erano collegati proprio
alla via Siracusa-Selinunte. Venne distrutto dai punici
nel 406, e Timoleonte lo ricostruì più ad Oriente, nel
sito dell'antica necropoli. Come Kamarina, Scornavacche
subì altre distruzioni, sino alla sua scomparsa
definitiva e violenta nel 280 a.c.
Gli insediamenti
archeologici
Disseminate
ovunque, nelle contrade Aranci, Piano Conte, Piano
Grillo, Casazze, Arcieri, Torre Mazzaronello, Marani,
Pipitana, sono venute alla luce stazioni preistoriche
risalenti all'età del Bronzo e all'età del Ferro. Sono
state ritrovate necropoli, abitati preistorici e abitati
greci arcaici. A Sperlinga, Cifali e nell'Arcibessi
invece furono rinvenuti resti bizantini e medievali,
mentre a Fegotto e in altre località sopravvivono
testimonianze di epoca ellenistico-romana. Ma il sito
archeologico più importante è quello di Scornavacche i
cui reperti sono conservati nel museo archeologico di
Ragusa. Anche questo nucleo riporta un passato di
distruzioni. L'abitato nacque tutto intorno al fiume
Dirillo e venne distrutto dai Punici nel 406. Venne poi
ricostruito sulla piana più orientale grazie a
Timoleonte, ma dopo due secoli di esso fu fatto tabula
rasa senza mai più risorgere. La caratteristica più
singolare di questo centro, era il numero ingente di
forni costruiti e utilizzati per la cottura d'argilla,
che doveva costituire l'attività economica fondamentale
per i suoi abitanti.
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