Paradigma:
ARANCIA MECCANICA
Ho visto A Clockwork Orange di Stanley Kubrick
a New York: per entrare ho dovuto fare a gomitate come tutti gli altri.
Mi è parso che lo spettacolo meritasse tanta ressa: è in
tutto e per tutto un film di Kubrick, tecnicamente brillante, arguto, puntuale,
poetico, capace di schiudere allo spirito nuove prospettive. Sono riuscito
a guardare il film come una totale ricostruzione del mio romanzo, e non
come una semplice interpretazione; Nel 1945, al ritorno dal fronte,
in un pub di Londra ho sentito un cockney ottantenne dire di qualcuno che
era «sballato come un’arancia meccanica». L’espressione
m’incuriosì per la stravagante mescolanza di linguaggio popolare
e surreale. I giovani alla fine degli anni Cinquanta erano agitati
e cattivi, insoddisfatti del mondo del dopoguerra, violenti e distruttivi,
ed è a loro (poiché sono più riconoscibili dei malviventi
dei tempi andati) che tanti fanno riferimento quando parlano di crescente
criminalità. Che fare di questi ragazzi? La prigione o i riformatori
non fanno che peggiorarli: allora perché non risparmiare il denaro
dei contribuenti sottoponendoli a un facile condizionamento, a una sorta
di terapia del disgusto, che generi in loro un’associazione tra l’atto
di violenza e il malessere, la nausea, o persino evocazioni di morte? Furono
in molti ad approvare questa proposta (che all’epoca non era una proposta
del governo, ma semplicemente un’idea espressa da singoli teorici, per
quanto influenti). Arancia meccanica doveva essere una sorta di manifesto,
ad una predica sull’importanza di poter scegliere.
Il mio eroe, o antieroe, Alex, è veramente malvagio, a un livello
forse inconcepibile, ma la sua cattiveria non è il prodotto di un
condizionamento teorico o sociale – è una sua impresa personale,
in cui si è imbarcato in piena lucidità. Alex è cattivo,
e non solo traviato, dunque in una società organizzata in modo corretto
azioni crudeli come le sue devono essere punite. Però la sua cattiveria
è umana: negli atti aggressivi possiamo riconoscere potenzialità
presenti in noi, che per il cittadino non criminale si concretizzano nella
guerra, nell’iniquità sociale, nella cattiveria che si esercita
in famiglia, nei sogni che si coltivano nel proprio cantuccio. Alex rappresenta
l’umanità in tre modi: è aggressivo, ama la bellezza, si
serve del linguaggio. È paradossale che il suo nome si possa intendere
come «senza parola», mentre egli possiede un intero vocabolario
inventato, suo personale, un gergo di gruppo. Da un
punto di vista teologico, il male non è misurabile. Eppure io credo
nel principio che un’azione possa essere più malvagia di un’altra,
e che l’atto ultimo del male sia la disumanizzazione, l’assassinio dell’anima
– il che ci riporta a parlare della possibilità di scegliere tra
azioni buone e cattive. Imponete a un individuo la possibilità di
essere solo e soltanto buono, e ucciderete la sua anima in nome del bene
presunto della stabilità sociale. La mia parabola e quella di Kubrick
vogliono affermare che è preferibile un mondo di violenza assunta
scientemente – scelta come atto volontario – a un mondo condizionato, programmato
per essere buono o inoffensivo. Nel film, cosi come nel libro, il male
compiuto dallo Stato, facendo il lavaggio del cervello ad Alex, è
molto spettacolare. Alex ama Beethoven, e ha utilizzato la Nona sinfonia
come stimolo per i suoi sogni di violenza. Questa è stata la sua
scelta, ma nulla gli avrebbe impedito di usare quella musica come semplice
consolazione, o assumerla ad immagine dell’ordine divino. Il fatto che
nel momento in cui il condizionamento ha inizio lui non abbia ancora compiuto
la scelta migliore, non significa che non lo farà mai. Ma a causa
della terapia del disgusto, che associa Beethoven alla violenza, questa
scelta gli è preclusa per sempre. E una punizione che agisce a livello
involontario, ed equivale a derubare un uomo – atto stupido e irrazionale
– del suo diritto a gioire della visione divina. Alcuni spettatori
del film sono stati turbati dal fatto che Alex, malgrado la sua crudeltà,
è comunque degno di affetto. Ma se noi ci disponiamo ad amare il
genere umano, dovremo amare Alex come membro pur sempre rappresentativo.