Il Manifesto poetico
del Futurismo viene steso nel 1909 da Marinetti, suo fondatore, in reazione
al tradizionalismo culturale seguito alla crisi del Liberty in Italia:
Aperto ad ogni mezzo di comunicazione e di espressione artistica, il movimento
coinvolge un gruppo di artisti allargato (da Boccioni
a Carrà, da Russolo
a Balla, da Severini
a Bonzagni, da Prampolini a De Pero e a Sant'Elia).
Tema principale una nuova concezione dello spazio e del tempo: nella compressione
del tempo e nella riduzione della durata si coglie ora l'aspetto propulsivo
della forma, secondo una nuova visione dinamica e positiva. In essa la
scomposizione degli elementi si riflette sia nella disposizione formale
sia nella definizione cromatica di matrice postimpressioonista. Una concezione
che si avvarrà di un'estetica di matrice macchinista fondata sull'elogio
della tecnologia e del progresso industriale: alla resa attonita e solitaria
dell'individuo "simmeliano" di fronte al frastuono della metropoli, il
futurismo contrappone infatti la massa urbana in movimento: "...il
problema è come dominare la rivolta delle macchine" (M. Tafuri,
F. DalCo, 1979). Muovendosi secondo i ritmi sincopati della comunicazione,
la macchina si impone nel rituale metropolitano come il nuovo tempio della
mobilità.