G.Leopardi CANTI
Studente Benaglia Deborah Matr. 178400
Il passero solitario
D'in su la vetta della torre antica,
passero solitario, alla campagna
cantando vai finchè non more il giorno;
ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera d'intorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
gli altri augelli, contenti, a gara insieme
per lo libero ciel fan mille giri,
pur festeggiando il loro tempo migliore:
tu pensoso in disparte il tutto miri;
non compagni, non voli,
non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
canti, e così trapassi
dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
della novella età dolce famiglia,
e te german di giovinezza, amore,
sospiro acerbo de' provetti diorni,
non curo, io non so come; anzi da loro
quasi fuggo lontano;
quasi romito, e strano
al mio loco natìo,
passo del viver mio la primavera.
Questo giorno, ch'omai cede alla sera,
festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
odi spesso un tonar di ferree canne,
che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
e mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
ogni diletto e gioco
indugio in altro tempo: e intanto il guardo
steso nell' aria aprica
mi fère il Sol che tra lontani monti,
dopo il giorno sereno,
cadendo si dilegua e par che dica
che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
certo del tuo costume
non ti dorrai; ché di natura è frutto
ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia evitar non impetro,
quando muti questi occhi all' altrui core,
e lor fia voto il mondo, e il dì futuro
del dì presente più noioso e tetro,
che parrà di tal voglia?
Che di quest' anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso
Ma sconsolato, volgerommi indietro.