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Politecnico di Milano, facoltà di architettura A.A. 1997/98

Corso di disegno automatico, prof. Colabella

 

Studente: Paolo Gazzola

Matricola n° 177884

Giacomo Leopardi

 

Il passero solitario (1829)

D'in su la vetta della torre antica,

passero solitario, alla campagna

cantando vai finché non muore il giorno;

ed erra l'armonia per questa valle.

Primavera dintorno

brilla nell'aria, e per li campi esulta,

sì ch'a mirarla intenerisce il core.

Odi greggi belar, muggire armenti;

gli altri augelli contenti, a gara insieme

per lo libero ciel fan mille giri,

pur festeggiando il lor tempo migliore:

tu pensoso in disparte il tutto miri;

non compagni, non voli,

non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;

canti, e così trapassi

dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

 

Oimè, quanto somiglia

Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,

della novella età dolce famiglia,

e te german di giovinezza, amore,

sospiro acerbo de' provetti giorni,

non curo, io non so come; anzi da loro

quasi fuggo lontano;

quasi romito, e strano

al mio loco natio,

passo del viver mio la primavera.

Questo giorno ch'omai cede alla sera,

festeggiar si consuma al nostro borgo.

Odi per lo sereno un suon di squilla,

odi spesso un tonar di ferree canne,

che rimbomba lontan di villa in villa.

Tutta vestita a festa

la gioventù del loco

lascia le case, e per le vie si spande;

e mira ed è mirata, ed in cor s'allegra.

Io solitario in questa

rimota parte alla campagna uscendo,

ogni diletto e gioco

indugio in altro tempo: e intanto il guardo

steso nell'aria aprica

mi fere il Sol che tra lontani monti,

dopo il giorno sereno,

cadendo si dilegua, e par che dica

che la beata gioventù vien meno.

 

Tu, solingo augellin, venuto a sera

Del viver che daranno a te le stelle,

certo del tuo costume

non ti dorrai; che di natura è frutto

ogni nostra vaghezza.

A me, se di vecchiezza

la detestata soglia

evitar non impetro,

quando muti questi occhi all'altrui core,

e lor fia vòto il mondo, e il dì futuro

del dì presente più noioso e tetro,

che parrà di tal voglia?

Che di quest'anni miei? Che di me stesso?

Ahi pentirommi, e spesso,

ma sconsolato, volgerommi indietro.