IL SIGNIFICATO

 

L’infinito fu composto a Recanati probabilmente tra la primavera e il settembre del 1819, un anno importante nell’evoluzione artistica del poeta. E’ da quel momento che i temi eroici delle prime canzoni si fanno estranei alla sua sensibilità. La chiave di lettura di questo canto è possibile riscontrarla in un pensiero dello Zibaldone: "L’anima desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e confinata in certi modi (...). La cagione è la stessa, cioè il desiderio dell’infinito perché allora in luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L’anima si immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario (...)". Quindi l’anima tende ad errare in uno spazio immaginario, ma a questo approdo, o a questo naufragio, si giunge solo partendo da limitazioni oggettive, da cui principia l’inizio di un'avventura spirituale in un itinerario indefinito, insondabile, dove spazio e tempo perdono le loro scansioni, dove la misura del tempo si muta in un "sovrumano silenzio" e in "profondissima quiete". Il vettore di fuga dal reale (l’ "ermo colle" e la "siepe") teso a scavalcare l’ "ultimo orizzonte" subisce un arresto, una pausa, quando l’anima nel suo errare si immerge, attraverso l’immaginazione nella "profondissima qiuete". E’ il brivido, lo sgomento di chi si trova per un attimo di fronte all’abisso, all’inesplorato; così il poeta ha bisogno ancora di un elemento che lo ricongiunga al tempo e allo spazio storico. Questa misura è il vento a cui si lega l’eterno, passato e presente e permette all’anima, che si è commisurata ancora al senso del tempo definito, di andare oltre, e il pensiero può annegare nell’immensità.

 

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